Il nodo della questione è costituito dall’esatta interpretazione della definizione di danno biologico contenuta nell’art. 13 del D. Lgs. 38/2000, recante "disposizioni in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali”. Tale norma, infatti, ai fini della tutela dell'assicurazione obbligatoria conto gli infortuni sul lavoro e malattie professionali, definisce il danno biologico genericamente come la lesione all'integrità psicofisica, suscettibile di valutazione
medico legale, della persona.
L’art. 13, al secondo comma, precisa poi che in caso di danno biologico l’Inail, nell’ambito del sistema d’indennizzo e sostegno sociale, in luogo della prestazione di cui all’art. 66 co. 1 n. 2) del TU D.P.R. n. 1124/1965, eroga l’indennizzo previsto. E a sua volta, la norma citata elenca le prestazioni dell’assicurazione fornite dall’Inail, e cioè:
1) un’indennità giornaliera per l’inabilità temporanea;
2) una rendita per l’inabilità permanente;
3) un assegno per l’assistenza personale continuativa;
4) una rendita ai superstiti e un assegno una volta tanto in caso di morte;
5) le cure mediche e chirurgiche, compresi gli accertamenti clinici;
6) la fornitura degli apparecchi di protesi.
Per la Suprema Corte, la corretta interpretazione di tale quadro normativo rende perciò evidente che “il danno biologico coperto dall'Istituto si riferisca esclusivamente e soltanto alla menomazione permanente dell’integrità psicofisica, che si protrae, cioè, per tutta la vita, che può essere assoluto o parziale e decorre dal giorno successivo a quello della cessazione della inabilità temporanea. Esulano, dunque, dal sistema assicurativo obbligatorio sia il "danno biologico temporaneo" sia il cosiddetto "danno morale".
In base al principio così affermato, pertanto, può affermarsi che non è possibile riconoscersi la risarcibilità del danno biologico nel caso in cui tra l’infortunio e la morte del lavoratore decorra un lasso di tempo tale da non consentire una “stabilizzazione” della lesione all’integrità fisica dello stesso derivante dall’infortunio.
Il caso concretamente sottoposto al vaglio del Supremo Collegio, in particolare, riguardava la domanda risarcitoria proposta dagli eredi di un lavoratore per il risarcimento dell’infortunio da quest’ultimo subito in ambito lavorativo.
A seguito dell’accoglimento della domanda da parte del Tribunale, l’Istituto aveva proposto appello e la Corte distrettuale aveva dato ragione all’Inail. Secondo il giudice di secondo grado, infatti, in base alla normativa vigente non ha alcun fondamento giuridico la pretesa di tutela nei confronti dell'Istituto di un danno biologico temporaneo e di un danno non patrimoniale.
Avverso tale sentenza avevano dunque proposto ricorso gli eredi, dolendosi – limitatamente ai profili ora di interesse – dell’erroneità della sentenza d’appello nella parte in cui non ha riconosciuto in capo al de cuius il diritto al risarcimento del danno biologico da liquidarsi nella sua globalità con conseguente trasmissione agli eredi.
Rigettando siffatta impugnazione, la Corte di Cassazione ha dunque operato le importanti precisazioni sopra riportate.