La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 21122 del 12 settembre 2017, si è occupata proprio di questa questione, fornendo alcune interessanti precisazioni sul punto.
Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello di Cagliari, in riforma della sentenza di primo grado, resa dal Tribunale di Sassari, aveva rigettato la domanda avanzata da un medico, volta ad accertare che l’infortunio subito si configurava come “infortunio sul lavoro in itinere” (vale a dire, quegli infortuni che si verificano nel periodo di tempo in cui ci si sta recando al lavoro o si sta rientrando a casa), con conseguente diritto alle relative prestazioni da parte dell’INAIL.
Nel caso di specie, in particolare, l’infortunata era, appunto, un medico, che aveva subito un sinistro stradale, nel tratto di strada percorso per raggiungere il luogo di lavoro presso l’ospedale.
Secondo la Corte d’appello, tuttavia, l’evento in questione non poteva qualificarsi come “infortunio in itinere”, dal momento che “l'utilizzo dell'auto, per raggiungere il luogo di lavoro presso l'Ospedale (…) non era necessario in quanto l'abitazione della stessa distava circa 500/700 metri che ben avrebbero potuto essere percorsi a piedi più facilmente invece che in auto, stante la presenza di sensi unici e di traffico”.
Ritenendo la decisione ingiusta, la donna decideva di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.
Evidenziava la ricorrente, a sostegno delle proprie ragioni, che, il giorno dell’infortunio, la stessa “era stata chiamata per un'urgenza e pertanto l'auto era stata scelta non per suoi particolari motivi o esigenze personali, ma per raggiungere il posto di lavoro nel più breve tempo possibile”.
La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter dar ragione alla ricorrente, rigettando il relativo ricorso, in quanto infondato.
Osservava la Cassazione, infatti, che la Corte d’appello aveva, del tutto adeguatamente, ritenuto irrilevante la suddetta circostanza, “trattandosi di scelte del datore di lavoro e che, comunque, non rendevano meno fondata la circostanza che il percorso a piedi sarebbe stato ben più rapido”.
Secondo la Cassazione, dunque, la Corte d’appello aveva ben argomentato e spiegato i motivi che l’avevano indotta a rigettare la domanda avanzata dalla ricorrente, accertando in maniera completa tutte le circostanze emerse in corso di causa.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dalla ricorrente, confermando integralmente la sentenza impugnata e condannando la ricorrente anche al pagamento delle spese processuali.