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L’imputato può commettere il reato di calunnia mentre si difende?

L’imputato può commettere il reato di calunnia mentre si difende?
La Cassazione precisa che il reato non può dirsi integrato se accusare falsamente un terzo costituisce l’unico modo per difendersi.
Il reato di calunnia è previsto dall’art. 368 c.p. Questa norma, in particolare, punisce chiunque, con denuncia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all'Autorità giudiziaria alternativamente:
  • incolpa di un reato taluno che egli sa innocente: in tal caso la calunnia si definisce “formale” e si attua fornendo una qualsiasi notitia criminis idonea a far sorgere un procedimento penale;
  • simula a carico di lui le tracce di un reato: in questo caso, invece, la calunnia si definisce “materiale” e dipende dalla simulazione delle tracce di reato, che non devono riguardare un reato veramente accaduto e che possono consistere sia in segni e indizi materiali che in segni sulla persona del denunciante o su altri, i quali indichino inequivocabilmente il soggetto incolpato quale responsabile del reato.
Tanto introduttivamente chiarito, ci si può porre un ulteriore quesito: tale reato può essere commesso anche da un soggetto che, essendo imputato di un determinato reato, indichi altri come colpevoli? Oppure non si può ravvisare la responsabilità penale di chi si stia semplicemente difendendo?

Ebbene, sul tema è recentemente intervenuta la Corte di Cassazione, con sentenza n. 6598 del 23 febbraio 2022.
Con la citata pronuncia, nello specifico, gli Ermellini hanno rilevato che “non esorbita dai limiti del diritto di difesa l'imputato che affermi falsamente davanti all'Autorità giudiziaria fatti tali da coinvolgere altre persone, che sa essere innocenti, in fatti penalmente illeciti, purchè la mendace dichiarazione costituisca l'unico indispensabile mezzo per confutare la fondatezza dell'imputazione”.
Affinchè l’imputato scampi la condanna per calunnie, pertanto, è necessario che si accerti
  • un rapporto di stretta connessione funzionale tra l'accusa (implicita od esplicita) formulata dall'imputato e l'oggetto della contestazione nei suoi confronti;
  • l'assenza di ragionevoli alternative quale mezzo di negazione dell'addebito.
Nel caso in cui emergano chiaramente tali circostanze, quindi, sarà possibile applicare la scriminante ex art. 51c.p., ai sensi del quale la responsabilità penale è esclusa dall’esercizio di un diritto.

Il fatto concreto giunto all’attenzione della Cassazione, in particolare, riguardava un soggetto addetto ad una concessionaria che aveva falsificato una firma in un contratto di noleggio di automobili. A suo carico era dunque stato aperto un procedimento per il delitto di cui all'art. 485 c.p. e, nel corso del suo interrogatorio dinanzi alla polizia giudiziaria, l’imputato aveva attribuito la predetta sottoscrizione proprio al soggetto che lo aveva querelato.
Il Tribunale, quindi, aveva condannato l’imputato per calunnia ma, in secondo grado, egli era stato assolto dalla Corte d’appello, secondo cui le false dichiarazioni a danno del querelante erano state rese per finalità difensive idonee a sostenere la scriminante di cui all'art. 51 c.p.
Avverso tale pronuncia, la parte civile aveva dunque proposto ricorso in Cassazione dolendosi dell'erronea applicazione della causa di giustificazione ma la Suprema Corte, sulla scorta della motivazione sopra ripercorsa, ha ritenuto corretta l'applicazione della scriminante e ha pertanto rigettato il ricorso.


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