Accade che un padre viene tratto agli arresti domiciliari per il reato di maltrattamenti in famiglia perpetrato nei confronti del figlio e dell’ex compagna con cui conviveva all’epoca dei fatti. L'imputato respinge ogni accusa, ritenendo di non avere un rapporto patologico con il figlio anche alla luce dell’ascolto del minore e dalla certificazione sul rapporto padre-figlio.
Giunto in Cassazione, all’uomo vengono contestati diversi comportamenti:
- L’ostacolare il rapporto tra il minore e la madre e il continuo chiedere al figlio informazioni relative agli spostamenti della donna,
- L’esasperazione del rapporto padre-figlio: l’imputato era arrivato a registrare le telefonate e conversazioni del minore
- L’eccessivo zelo del padre che sottoponeva il figlio ad ulteriori visite mediche oltre quelle già eseguite dalla madre.
Secondo gli Ermellini queste condotte non possono essere integrare nel reato di cui all’art. 572 del Codice Penale. Il reato di maltrattamenti si ritiene integrato quando vengono inflitte sofferenze e vessazioni che abbiano il carattere dall’abitualità e, il soggetto nei cui confronti vengono inflitte rimane succube di uno stile di vita umiliante e persecutorio.
Nel caso di specie, la condotta dell’imputato doveva essere più propriamente ricondotta all’iper-protettività del padre nei confronti del figlio. Acclarata giurisprudenza ritiene che il reato di maltrattamenti possa essere integrato in presenza di eccessiva proiettività solo qualora questa incida sullo sviluppo psico-fisico del minore ma, nel caso in oggetto, gli atteggiamenti del padre non erano stati ritenuti tali.