Nel caso esaminato dal Tribunale, una coppia si era separata e la figlia minorenne era stata affidata alla madre, prevedendo un ampio calendario di visite per il padre.
Successivamente, tuttavia, la figlia minore aveva iniziato a rifiutare di incontrare e vedere il padre, con la conseguenza che questi aveva deciso di rivolgersi al Tribunale, affinchè venisse accertato (attraverso la perizia di uno psicologo), quali fossero i reali motivi per i quali la figlia aveva iniziato ad adottare tale comportamento.
Secondo il padre, infatti, era necessario accertare se il rifiuto di incontrare il padre fosse dovuto al comportamento denigratorio della madre.
La madre si era opposta alla richiesta del padre, chiedendo a sua volta che il Tribunale rideterminasse le modalità di visita padre-figlia, nel rispetto della volontà di quest’ultima.
Il Tribunale non riteneva di poter accogliere le richieste del padre, rigettando la relativa domanda, in quanto infondata.
Osservava il Tribunale che appariva pacifico che il regime di visite padre-figlia concordato al momento della separazione non veniva osservato e che i rapporti padre-figlia erano oramai praticamente assenti.
Nel corso del procedimento, inoltre, era stata ascoltata la minore, che aveva manifestato il proprio “articolato, convinto e attuale desiderio di non avere con il padre ulteriori rapporti rispetto agli attuali sporadici contatti”.
La minore, in particolare, aveva riferito al giudice “di non avere mai avuto col padre un rapporto stretto, di non sentirsi a suo agio con lui, lamentandone la prepotenza e l'aggressività, e di provare ansia all'idea di vederlo, pur non escludendo la possibilità di rivederlo in futuro”.
Il Tribunale, dunque, pur ritenendo che “al diritto del figlio di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori (art. 337 ter comma 1 c.c.) debba specularmente riconoscerci anche il diritto di ciascun genitore al mantenimento di rapporti effettivi con i figli”, osservava che “l'individuazione delle concrete modalità di esercizio e attuazione del predetto diritto del genitore a mantenere il legame con i figli deve avvenire avendo sempre come parametro principale di riferimento l'interesse superiore del minore e non può prescindere dalla considerazione delle specifiche circostanze del caso concreto e, in particolare, dell'età del figlio minore”.
Nel caso in esame, dunque, poiché la figlia minore aveva “espresso la propria posizione in modo netto e chiaro”, il Tribunale riteneva che “provvedimenti impositivi di rapporti, visite e incontri, eventualmente preceduti da una consulenza tecnica d'ufficio parimenti imposta”, non rispondessero “all'interesse superiore del minore ad una effettiva e proficua bigenitorialità e ad una crescita serena ed equilibrata” e che i medesimi non fossero nemmeno “concretamente funzionali all'attuazione di quel diritto del genitore al mantenimento del legame con i figli, risultando anzi, in quanto imposti e non frutto di una spontanea rielaborazione relazionale, controproducenti e pregiudizievoli al recupero di una serena relazione padre-figlia nonché al benessere stesso della minore, cui il Tribunale sempre tende nell'adozione delle proprie decisioni”.
A sostegno della propria decisione, il Tribunale osservava, inoltre, che le presunte condotte denigratorie della madre, che avrebbe screditato la figura del padre, non erano state in alcun modo provate.
Di conseguenza, il Tribunale riteneva di dover rigettare le domande del padre e di dover accogliere quella della madre, “di prevedere incontri padre-figlia secondo il gradimento della minore, affinché sia rimessa alla spontanea evoluzione relazionale delle parti e della minore il recupero, senza costrizioni e nei tempi e nei modi ritenuti congrui dagli interessati, di un sereno e continuativo rapporto tra il ricorrente e la di lui figlia”.