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Donna si aggrappa al finestrino della macchina e l'altra prosegue la marcia: condannata per "lesioni personali colpose"

Donna si aggrappa al finestrino della macchina e l'altra prosegue la marcia: condannata per "lesioni personali colpose"
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22705 del 22 maggio 2016, si è occupata di un caso piuttosto curioso in materia di “circolazione stradale”.

Ebbene, nel caso esaminato dalla Corte, il Giudice di Pace, con sentenza confermata, in secondo grado, dal Tribunale, aveva condannato una donna per il reato di “lesioni personali colpose”, di cui all’art. 590 codice penale, commesso ai danni di un’altra donna quando, in occasione di una lite, “alla guida del proprio autoveicolo, aveva proseguito la marcia nonostante la persona offesa fosse rimasta attaccata al finestrino del proprio mezzo”.

Ritenendo la sentenza ingiusta, l’imputata proponeva ricorso per Cassazione, il quale, tuttavia, veniva rigettato.

Secondo la ricorrente, in particolare, i giudici dei primi due gradi di giudizio avrebbero errato nel pronunciare una sentenza di condanna nei suoi confronti, in quanto non avrebbero tenuto in considerazione il fatto che l’evento dannoso si era verificato solo ed esclusivamente a causa del comportamento della stessa persona offesa, la quale “era rimasta intenzionalmente aggrappata all’autovettura dell’imputata nonostante la stessa fosse già in marcia e si stesse allontanando”.

La Corte di Cassazione, tuttavia, non ritiene di dover aderire alle argomentazioni svolte dalla ricorrente, respingendo il relativo ricorso e confermando la sentenza resa dal Tribunale.

Osserva la Corte, infatti, come il Tribunale, pronunciatosi in sede d’appello, abbia del tutto correttamente confermato il giudizio di responsabilità formulato dal Giudice di Pace, avendo il medesimo “sottolineato come la circostanza che la persona offesa fosse rimasta con le braccia all’interno del finestrino dell’autovettura dell’imputata (…) avrebbe imposto all’imputata di non proseguire la propria marcia, per l’evidente rischio di causare un prevedibile pregiudizio fisico ai danni della persona offesa, a nulla valendo l’eventuale insistenza di quest’ultima nel richiedere spiegazioni o nel conservare la propria posizione con le braccia all’interno dell’abitacolo”.

In sostanza, secondo la Corte di Cassazione, la donna alla guida, una volta resasi conto che l’altra donna era attaccata al finestrino, avrebbe dovuto fermarsi e non proseguire la marcia, in considerazione dell’evidente rischio di farle del male.

Inoltre, secondo la Cassazione, il Tribunale ha correttamente ritenuto le conseguenze lesive patite dalla persona offesa, consistenti, nella specie, in una cervicalgia e in uno stato d’ansia, “quali effetti diretti della condotta violenta dell’imputata, essendosi trattato di eventi pienamente coerenti e compatibili con l’entità e le caratteristiche dell’azione lesiva in concreto accertata”.

In altri termini, la Corte ritiene ineccepibile il ragionamento svolto dal Giudice di Pace e dal Tribunale, i quali hanno correttamente condannato la donna alla guida dell’automezzo.



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