L’art. 12 di tale decreto, in particolare, nel disciplinare la nuova procedura di separazione o divorzio, davanti all’ufficiale di stato civile, prevede che l’accordo raggiunto dai coniugi non possa contenere “patti di trasferimento patrimoniale”.
Ebbene, in virtù di tale disposto, in caso di divorzio davanti al Sindaco, è possibile per i coniugi accordarsi per la corresponsione di un assegno mensile a titolo di contributo nel mantenimento?
Il TAR Lazio, con la sentenza n. 7813 del 7 luglio 2016, si è occupato proprio di questa questione, fornendo alcune interessanti precisazioni sul punto.
Nel caso esaminato dal TAR, era stata impugnata una circolare del Ministero dell’Interno con cui era stato affermato che non rientra nel divieto di cui alla norma sopra citata, “la previsione, nell’accordo concluso davanti all’ufficiale dello stato civile, di un obbligo di pagamento di una somma di denaro a titolo di assegno periodico, sia nel caso di separazione consensuale (c.d. assegno di mantenimento), sia nel caso di richiesta congiunta di cessazione degli effetti civili o scioglimento del matrimonio (c.d. assegno divorzile). Le parti possono richiedere, sempre congiuntamente, la modifica delle precedenti condizioni di separazione o di divorzio già stabilite ed in particolare possono chiedere l’attribuzione di un assegno periodico (di separazione o di divorzio) o la sua revoca o ancora la sua revisione quantitativa”.
In altri termini, nella circolare impugnata, il Ministero aveva chiarito che i coniugi che intendano separarsi o divorziare davanti al Sindaco sono liberi di accordarsi anche nel senso della corresponsione di un assegno periodico di mantenimento.
In proposito, il TAR osservava che il divieto di cui all’art. 12 sopra citato, di inserire “patti di trasferimento patrimoniale” nell’accordo di separazione o divorzio, ha lo scopo di “tutelare i soggetti coinvolti nell’accordo, dinanzi all’utilizzo di una procedura di separazione e divorzio che, in ragione della sua semplificazione, sarebbe suscettibile di provocare storture e potenziali violazioni dei diritti fondamentali dei coniugi stessi”.
Secondo il TAR, inoltre, l’art. 12 vieterebbe “qualsiasi patto “di trasferimento patrimoniale”, non limitandosi a vietare patti dispositivi di beni determinati e non distinguendo, come arbitrariamente farebbe la Circolare, tra prestazioni una tantum e prestazioni periodiche”.
In sostanza, secondo il Tribunale, è del tutto irrilevante che i coniugi si accordino per la corresponsione di una prestazione occasionale o periodica, in quanto, in entrambi i casi, risulterebbe violato il divieto di cui alla disposizione citata, trattandosi pur sempre di “patti di trasferimento patrimoniale”.
Di conseguenza, secondo il TAR, quanto affermato dal Ministero nella circolare impugnata, risulterebbe in “palese violazione del diritto alla difesa (art. 24 Cost.) di quei soggetti che, trovandosi in posizione di debolezza o soggezione verso il proprio coniuge o verso l’ambiente sociale in cui vivono e in cui operano gli ufficiali dello stato civile abilitati a certificare i patti, potrebbero essere indotti ad accordi di tipo patrimoniale lesivi dei propri interessi in un ambito nel quale mancano adeguate garanzie di tutela e dove anzi l’ufficiale di stato civile non può entrare nel merito della somma consensualmente decisa, né della congruità della stessa”.
Alla luce di queste considerazioni, il TAR riteneva di dover accogliere il ricorso presentato, con conseguente annullamento della circolare impugnata.