Buone notizie per i lavoratori del pubblico impiego, ma non per tutti. Un emendamento del Governo, inserito nella legge di conversione del decreto P.A. e approvato lo scorso 17 aprile in Commissione, permette – infatti – di innalzare la componente stabile del fondo delle risorse decentrate e le posizioni organizzative fino al 48% della spesa complessiva per le retribuzioni 2023.
In sostanza chi ha un contratto di lavoro presso Comuni, Città Metropolitane, Province o Regioni potrebbe contare presto su una busta paga più “pesante”, con aumenti fino a 300 euro mensili. L'emendamento esclude, invece, Camere di Commercio, Unioni Comunali e tutti gli altri enti del comparto funzioni locali che non siano quelli appena menzionati.
Lo sblocco degli aumenti del fondo accessorio per il personale rispecchia quanto richiesto da anni da Anci, Aran e Upi, ossia il superamento del tetto al trattamento accessorio di cui all'art. 23, comma 2, del D. Lgs. 75/2017, per consentire agli enti locali di accrescere la retribuzione accessoria dei loro dipendenti, diminuendo la fuga di impiegati e funzionari verso le Amministrazioni centrali per il maggior livello retributivo garantito da queste ultime.
Tuttavia tale aumento è subordinato a una condizione molto importante: le risorse per finanziare l'incremento di spesa dovranno essere trovate dagli stessi enti locali e Regioni, perché il citato emendamento alla legge di conversione del decreto P.A. non dispone alcuno stanziamento ulteriore da parte dello Stato.
In termini pratici, ciò significa che non tutte le amministrazioni potranno alzare gli stipendi ai loro dipendenti, perché sarà l'equilibrio finanziario e – quindi - lo stato di “salute” dei loro bilanci a consentirlo o meno. Pertanto se, ad esempio, un Comune non avrà il bilancio in ordine, non potrà reperire le risorse aggiuntive per le buste paga del personale. L'ente locale contabilmente "virtuoso" potrà, quindi, modulare verso l'alto la busta paga, attraendo – al contempo – professionalità più qualificate e contribuendo altresì a innalzare il livello del servizio offerto alla cittadinanza.
Se, da un lato, nella maggioranza sono giunti commenti favorevoli a un emendamento che, di fatto, ridurrà il gap retributivo tra il comparto delle funzioni centrali e quello delle funzioni locali, d'altro lato dai sindacati - con Cgil in testa - sono arrivate critiche ad una novità normativa che, oltre a creare disparità tra singole amministrazioni pubbliche, potrebbe diminuire le capacità di future assunzioni da parte degli enti locali. Per applicare la novità occorrerà ora attendere l'ultimo step, ossia l'entrata in vigore della legge di conversione, per la rimozione del tetto alle retribuzioni nelle amministrazioni locali.
In sostanza chi ha un contratto di lavoro presso Comuni, Città Metropolitane, Province o Regioni potrebbe contare presto su una busta paga più “pesante”, con aumenti fino a 300 euro mensili. L'emendamento esclude, invece, Camere di Commercio, Unioni Comunali e tutti gli altri enti del comparto funzioni locali che non siano quelli appena menzionati.
Lo sblocco degli aumenti del fondo accessorio per il personale rispecchia quanto richiesto da anni da Anci, Aran e Upi, ossia il superamento del tetto al trattamento accessorio di cui all'art. 23, comma 2, del D. Lgs. 75/2017, per consentire agli enti locali di accrescere la retribuzione accessoria dei loro dipendenti, diminuendo la fuga di impiegati e funzionari verso le Amministrazioni centrali per il maggior livello retributivo garantito da queste ultime.
Tuttavia tale aumento è subordinato a una condizione molto importante: le risorse per finanziare l'incremento di spesa dovranno essere trovate dagli stessi enti locali e Regioni, perché il citato emendamento alla legge di conversione del decreto P.A. non dispone alcuno stanziamento ulteriore da parte dello Stato.
In termini pratici, ciò significa che non tutte le amministrazioni potranno alzare gli stipendi ai loro dipendenti, perché sarà l'equilibrio finanziario e – quindi - lo stato di “salute” dei loro bilanci a consentirlo o meno. Pertanto se, ad esempio, un Comune non avrà il bilancio in ordine, non potrà reperire le risorse aggiuntive per le buste paga del personale. L'ente locale contabilmente "virtuoso" potrà, quindi, modulare verso l'alto la busta paga, attraendo – al contempo – professionalità più qualificate e contribuendo altresì a innalzare il livello del servizio offerto alla cittadinanza.
Se, da un lato, nella maggioranza sono giunti commenti favorevoli a un emendamento che, di fatto, ridurrà il gap retributivo tra il comparto delle funzioni centrali e quello delle funzioni locali, d'altro lato dai sindacati - con Cgil in testa - sono arrivate critiche ad una novità normativa che, oltre a creare disparità tra singole amministrazioni pubbliche, potrebbe diminuire le capacità di future assunzioni da parte degli enti locali. Per applicare la novità occorrerà ora attendere l'ultimo step, ossia l'entrata in vigore della legge di conversione, per la rimozione del tetto alle retribuzioni nelle amministrazioni locali.