La vicenda sottoposta all’esame del giudice vedeva come protagonista un amministratore di condominio che, avendo incontrato per strada la madre di una condomina, le aveva fornito delle informazioni relative alla morosità di quest’ultima, il che aveva comportato, in seguito, una completa rottura dei rapporti tra madre e figlia, come, peraltro, provato anche da alcuni testimoni.
In seguito all’accaduto la condomina ricorreva dinanzi al Tribunale, chiedendo sia che venisse accertata la responsabilità dell’amministratore per la divulgazione illecita di sue informazioni personali, sia che lo stesso venisse condannato a corrispondere il risarcimento dei danni che ne erano derivati.
Il Tribunale adito ha accolto le doglianze della ricorrente, riportandosi, essenzialmente, a quanto stabilito in materia da un consolidato orientamento della Suprema Corte.
Gli Ermellini, a partire dalla sentenza n. 186/2011, hanno dichiarato come, in materia condominiale, le informazioni relative alla morosità di alcuni condomini in ordine al pagamento degli oneri condominiali pregressi, possano sicuramente essere oggetto di trattamento. L’attività di gestione e amministrazione svolta dall’amministratore condominiale non può, infatti, non comportare la raccolta, la registrazione, la conservazione e l’elaborazione delle informazioni relative ai singoli condomini, comprese quelle relative alla loro eventuale morosità. Secondo il parere della Cassazione, ciò si spiega anche in considerazione del fatto che i condomini sono titolari di un potere di vigilanza e controllo sull’attività di gestione realizzata dall’amministratore, essendo essi abilitati a chiedergli, in qualsiasi momento, informazioni in merito alla situazione contabile del condominio, comprese quelle relative ad eventuali posizioni debitorie di alcuni di essi.
In seguito alla riforma del condominio, realizzata con la l. n. 220/2012, è, peraltro, lo stesso Codice Civile a prevedere che possano essere comunicati i dati personali dei condomini. Tale comunicazione, però, per essere lecita, deve necessariamente avvenire in uno dei due modi delineati dal codice stesso. Il primo di essi, previsto dall’art. 1130, comma 1, n. 9, c.c., consente ai condomini di chiedere all’amministratore condominiale un’attestazione relativa allo stato dei pagamenti degli oneri condominiali e delle eventuali liti pendenti. La seconda di dette modalità è, invece, prevista dall’art. 1130 bis, comma 1, c.c., in base a cui il rendiconto condominiale contiene le voci di entrata e di uscita, nonché ogni altro dato, relativo alla situazione patrimoniale del condominio.
Alla luce di tali norme, come osservato dallo stesso Tribunale adito nel caso di specie, il Garante della Privacy, all’interno del proprio vademecum pubblicato nell’ottobre 2013, ha chiarito che ogni condomino “può conoscere le spese e gli inadempimenti degli altri condomini, sia al momento del rendiconto annuale sia facendone richiesta all’amministratore”.
Alla luce di quanto disposto dalla legge, dunque, al fine di tutelare la dignità dell’interessato, l’amministratore di condominio ha l’obbligo, da un lato, di adottare le opportune cautele al fine di evitare l’accesso a quei dati da parte di persone estranee al condominio, e, qualora, invece, la divulgazione abbia come destinatari gli altri condomini, esso la deve, comunque, attuare rispettando gli accorgimenti dettati ex lege.
Ciò comporta, pertanto, che le comunicazioni che avvengano senza rispettare le modalità stabilite dalla legge, anche se rivolte ad altri condomini, sono, in ogni caso, illegittime e antigiuridiche.
Per quanto concerne, d'altro canto, il conseguente risarcimento, considerato che il diritto al rispetto della propria riservatezza ha natura immateriale, secondo il costante orientamento degli Ermellini, richiamato anche nella pronuncia in esame, il relativo danno non sussiste in re ipsa, ma necessita di essere allegato e provato, seppur anche solo attraverso delle presunzioni semplici (Cass. Civ., n. 20643/2016).
Alla luce di tali elementi, il giudice ha accolto le istanze della ricorrente, ritenendo responsabile il convenuto e condannandolo al pagamento del risarcimento del danno, avendolo ritenuto sufficientemente provato.