Nel caso esaminato dalla Cassazione, due lavoratrici avevano agito in giudizio, al fine di ottenere la condanna del Fondo di Garanzia INPS al pagamento del TFR loro spettante, in conseguenza della cessazione del loro rapporto di lavoro presso una società, la quale non aveva provveduto al suddetto pagamento.
La domanda, tuttavia, veniva rigettata sia in primo che in secondo grado, con la conseguenza che le lavoratrici provvedevano a proporre ricorso per Cassazione.
Secondo la Corte d’Appello, infatti, non sussistevano, nel caso di specie, i presupposti previsti dall’art. 2 del decreto legislativo n. 80 del 1992, per il riconoscimento del relativo diritto, in quanto “mancava l’esperimento di una valida azione esecutiva nei confronti della società datrice di lavoro e l’accertamento dell’insufficienza dell’eredità giacente” (va precisato, in proposito, che uno dei soci della società debitrice era deceduto).
Ebbene, la Corte di Cassazione riteneva di dover aderire alle argomentazioni svolte dalle ricorrenti.
In particolare, secondo la Cassazione, le ricorrenti avevano chiesto ed ottenuto il rilascio di decreti ingiuntivi, aventi ad oggetto le somme oggetto di causa, e inoltre, tanto l’esistenza quanto l’ammontare del credito non risultavano oggetto di contestazione, né da parte dell’INPS, né da parte della società.
Di conseguenza, secondo la Corte, il ricorso appariva meritevole di accoglimento, dovendosi dare applicazione all’art. 2 della legge n. 297 del 1992, il quale prevede che, nell’ipotesi in cui il datore di lavoro non adempia al proprio obbligo di corrispondere il Trattamento di Fine Rapporto dovuto, il lavoratore abbia diritto di chiedere al Fondo di Garanzia dell’INPS detto pagamento, sempre che le garanzie patrimoniali offerte dal datore di lavoro siano risultate insufficienti, a seguito di esecuzione forzata sul patrimonio del medesimo. In tali ipotesi, dunque, il Fondo, “ove non sussista contestazione in materia, esegue il pagamento del trattamento insoluto”.
Ricorda la Cassazione, infatti, che, attraverso l’istituzione del Fondo, il legislatore del 1982 aveva inteso garantire, per quanto riguarda il TFR, una forma di tutela certa del credito del lavoratore, “realizzata attraverso modalità garantistiche e non soggetta alle limitazioni e difficoltà procedurali previste, invece, per la tutela delle ultime retribuzioni”.
Pertanto, il lavoratore potrà usufruire del Fondo, al fine di ottenere il pagamento di quanto dovutogli a titolo di TFR, “dimostrando di aver esperito infruttuosamente una procedura di esecuzione e, nel caso in cui si prospetti la possibilità di ulteriori forme di esecuzione, di aver esperito tutte quelle che, secondo l’ordinaria diligenza, si prospettino fruttuose – non essendo egli tenuto ad esperire azioni esecutive che appaiano infruttuose o aleatorie, in un raffronto tra i loro costi certi e i benefici futuri, valutati secondo un criterio di probabilità”.
Nel caso di specie, dunque, poiché i crediti vantati dalle lavoratrici erano stati accertati in sede di decreto ingiuntivo, non erano contestati e, inoltre, le lavoratrici avevano anche tentato, nei confronti del socio superstite, di eseguire un pignoramento, risultato infruttuoso, doveva ritenersi che le lavoratrici avessero diritto di ottenere il pagamento di quanto dovuto a titolo di TFR da parte del Fondo di Garanzia.
La Corte, quindi, accoglieva il ricorso, annullando la sentenza impugnata, con condanna dell’INPS al pagamento, in favore di ciascuna di esse, delle relative somme, oltre che al pagamento delle spese processuali.