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Condannate le volontarie di un rifugio che sopprimevano senza motivo gli animali ricoverati

Condannate le volontarie di un rifugio che sopprimevano senza motivo gli animali ricoverati
La Corte di Cassazione ha confermato la condanna di tre volontarie di un rifugio per animali, che avevano soppresso numerosi esemplari di cani, senza alcuna necessità e in assenza di visita o di certificazione veterinaria che ne giustificasse l'abbattimento.
Con la sentenza n. 4562 del 31 gennaio 2018, la Corte di Cassazione si è trovata ad esaminare uno sconcertante caso di “uccisione di animali” (art. 544 bis c.p.).

Il caso sottoposto all’esame della Cassazione ha visto come protagoniste tre volontarie di un rifugio per cani, le quali erano state condannate, dal Tribunale di Cremona, per il reato di “uccisione di animali” (art. 544 bis c.p.), per aver “con crudeltà e senza necessità”, ucciso un considerevole numero di cani e gatti, somministrando agli stessi farmaci eutanasici.

Le imputate, inoltre, erano state condannate, ai sensi dell’art. 348 c.p., per aver esercitato abusivamente la professione di veterinario, avendo svolto, dal 2005 al 2009, le funzioni tipiche di tale figura professionale, uccidendo gli animali attraverso la somministrazione dei suindicati farmaci e “procedendo alle vaccinazioni e rimuovendo i punti di sutura”.

La Corte d’appello di Brescia aveva sostanzialmente confermato la condanna (pur riformando parzialmente la decisione di primo grado), con la conseguenza che le imputate avevano deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione.

Evidenziavano le ricorrenti, in proposito, che i giudici dei precedenti gradi di giudizio non avrebbero adeguatamente precisato in base a quali elementi fosse stato possibile affermare “che l'uccisione degli animali avesse avuto luogo con ‘crudeltà’ ovvero in ‘assenza di necessità’”.

La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter aderire alle considerazioni svolte dalle imputate, rigettando i relativi ricorsi, in quanto infondati.

Osservava la Cassazione, infatti, che la Corte d’appello aveva motivato la propria decisione anche sulla base delle dichiarazioni dei testimoni sentiti in corso di causa, i quali avevano riferito di aver visto una delle imputatesopprimere numerosi esemplari di cani senza alcuna necessità, in assenza di visita o di certificazione veterinaria che ne giustificasse l'abbattimento”.

I testimoni, inoltre, avevano dichiarato di aver visto le altre imputate “eliminare dei cuccioli” e “portare dei cani dietro un container constatando, subito dopo, che le loro carcasse erano state racchiuse in sacchi custoditi in una cella frigorifera”.

Evidenziava la Corte, peraltro, che vi erano, altresì, una serie di “elementi indiziari in grado di far emergere l'avvenuta soppressione ‘senza necessità’ di decine e decine di animali”, come la “indicazione, sui cartellini identificativi degli animali soppressi a seguito di ‘eutanasia ufficiale’, di cause non riconducibili tra le legittime ipotesi di soppressione per ragioni veterinarie”, la “assenza di patologie fisiche negli animali soppressi” e il “mancato rispetto degli obblighi certificativi”.

Pertanto, secondo la Cassazione, la Corte d’appello aveva del tutto adeguatamente motivato la propria decisione, giungendo alla logica conclusione di ritenere le imputate colpevoli dei reati ascritti.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dalle imputate, confermando integralmente la sentenza oggetto di impugnazione.


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