Secondo quanto affermato dalla Corte di Cassazione, sembrerebbe proprio di sì.
Nel caso esaminato dalla Cassazione, con la sentenza n. 28670 del 2017, il Tribunale di Lucca aveva condannato un imputato per il reato di “disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone” (art. 659 cod. pen.), del quale era stato accusato per aver recato disturbo a dei condomini, “mediante rumori prodotti dal televisore o dalla radio del proprio appartamento, mantenendoli a lungo accesi con musica ad altissimo volume anche durante la notte”.
Ritenendo la decisione ingiusta, l’imputato aveva deciso di rivolgersi direttamente alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.
Osservava il ricorrente, infatti, che, ai fini della configurabilità del reato contestato, occorrerebbe che i rumori fossero tali da essere percepiti da più persone, in modo da arrecare “disturbo alla quiete pubblica”.
Nel caso di specie, invece, dagli accertamenti effettuati in corso di causa, non era emerso che il rumori in questione fossero talmente forti da poter disturbare una molteplicità di persone e, in ogni caso, le condotte contestate non erano state ripetute nel tempo.
Ritenendo la decisione ingiusta, l’imputato aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.
La Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter dar ragione al ricorrente, rigettando il relativo ricorso in quanto “manifestamente infondato”.
Precisava la Cassazione, infatti, che, per la sussistenza del reato oggetto di contestazione, relativamente ad un’attività che si svolga in ambito condominiale, occorre che i rumori prodotti siano idonei “ad arrecare disturbo o a turbare la quiete e le occupazioni non solo degli abitanti dell'appartamento sovrastante o sottostante la fonte di propagazione (…), essendo necessario (…) che i rumori siano idonei a disturbare a tranquillità di un numero indeterminato di persone, pur se poi concretamente solo taluna se ne possa lamentare”.
Evidenziava la Corte, inoltre, che, ai fini della configurabilità del reato, può essere sufficiente anche una sola condotta rumorosa, laddove questa arrechi “un effettivo disturbo alle occupazioni o al riposo delle persone”.
Ebbene, nel caso di specie, secondo la Cassazione, i giudici dei precedenti gradi di giudizio avevano messo in evidenza le ragioni che li avevano indotti a condannare l’imputato, ponendo a fondamento della loro decisione il fatto che, al momento dell’intervento dei Carabinieri (che erano stati chiamati dalla persona offesa), gli agenti avevano sentito “un forte rumore causato dall'audio della televisione, cosi alto che dalla strada si distinguevano chiaramente le parole pronunciate nel programma tv”.
Di conseguenza, doveva ritenersi assodato che condotta posta in essere dall’imputato fosse “idonea a disturbare a tranquillità di un numero indeterminato di persone”, pregiudicando, dunque, la quiete pubblica (che rappresenta il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice).
Ciò considerato, la Cassazione rigettava il ricorso proposto dall’imputato, confermando integralmente la sentenza impugnata e condannando il ricorrente anche al pagamento delle spese processuali.