La Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi sulla questione relativa alla possibilità che il limite dell'aumento della pena correlato al riconoscimento della recidiva qualificata, previsto dall'art. art. 99 del c.p. sesto comma, incida sulla qualificazione della recidiva prevista dal secondo e dal quarto comma dell'art. 99 cod. pen. come circostanza ad effetto speciale e/o influisca sulla determinazione del termine di prescrizione.
Con la sentenza n. 30046 del 2022 la Cassazione ha evidenziato come la questione si articoli su due profili distinti, tra loro complementari.
Il primo, sulla definizione della recidiva laddove, contestata e riconosciuta come qualificata ai sensi del secondo o del quarto comma dell'art. 99 cod. pen., venga poi fatta applicazione della specifica disposizione dettata dall'art. 99, sesto comma, cod. pen., e l'aumento della pena dovesse essere in concreto operato in misura pari o inferiore ad un terzo sulla pena base.
Il secondo, sui riflessi della scelta definitoria, in relazione alla esatta delimitazione dell'ambito di operatività della disciplina del calcolo del termine di prescrizione del reato, qualora in concreto l'imputato dovesse beneficiare del meccanismo di temperamento previsto dal sesto comma dell'art. 99 cod. pen. È opportuno chiarire in che modo tale "meccanismo" incida sul computo sia del termine di prescrizione così detto "minimo", a mente dell'art. 157 cod. pen., sia di quello così detto “massimo”, dovuto all'ulteriore aumento stabilito dall'art. 161, secondo comma, cod. pen., per effetto dell'accertata presenza nel processo di atti interruttivi.
In particolare, con riferimento al primo profilo il Collegio rileva come la recidiva sia definibile per consolidata giurisprudenza come aggravante a effetto speciale quando comporta un aumento della pena superiore a un terzo.
Nondimeno, la questione riguarda l'eventualità in cui per effetto della applicazione della disposizione di cui al c.6 dell'art. 99 c.p. l'aumento della pena dovesse risultare, in ragione di quel temperamento, pari o inferiore a un terzo nonostante il carattere qualificato della recidiva.
La Corte al fine di risolvere la questione interpretativa sottopostale richiama taluni precedenti della giurisprudenza di legittimità dai quali è possibile desumere il principio secondo il quale la definizione di una circostanza come a effetto speciale riguardi il piano astratto della comminatoria edittale, a prescindere dalla operatività di eventuali meccanismi di temperamento previsti dalla legge.
In particolare, viene citato l'orientamento della giurisprudenza di legittimità che in sede di esegesi dell'art. 278 cod. proc. pen. ha affermato che laddove concorrano più circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato o circostanze ad effetto speciale, si debba tener conto, ai sensi dell'art. 63, quarto comma, cod. pen., della pena stabilita per la circostanza più grave, aumentata di un terzo, e come tale aumento costituisca cumulo giuridico delle ulteriori pene e limite legale dei relativi aumenti per le circostanze meno gravi, che tuttavia mantengono la loro natura.
Il Collegio ritiene che il citato principio sia indicativo della chiara tendenza legislativa a differenziare il momento della qualificazione di una circostanza nel contesto della sua incidenza astratta sulla determinazione della pena edittale di un determinato reato, rispetto al momento della produzione degli effetti del relativo riconoscimento, nella commisurazione della pena per il caso concreto.
Di conseguenza, le Sezioni unite giungono ad affermare che l'art. 63 c.3 c.p. nel definire come circostanze a effetto speciale quelle che comportino un aumento della pena superiore a un terzo faccia riferimento alla idoneità della circostanza a produrre in astratto un incremento della sanzione in misura superiore a quella indicata, indipendentemente dalla operatività in concreto di criteri di temperamento fissati dalla stessa legge.
Quindi, la Corte sostiene che l'aumento della pena che per l'applicabilità del limite fissato dall'art. 99 c.6 c.p. sia in concreto pari o inferiore a un terzo non escluda la definizione della recidiva qualificata come aggravante a effetto speciale. Altrimenti si finirebbe per accogliere una nozione a "geometrie variabili" di circostanza a effetto speciale, facendola dipendere dal momento, astratto o concreto, in cui se ne dovessero considerare gli effetti.
Inoltre, con riferimento alla possibilità che il temperamento previsto dal c.6 dell'art. 99 c.p. incida sul termine di prescrizione minimo e massimo le Sezioni unite rilevano come la riforma veicolata dalla legge n. 251/2005 abbia oggettivizzato i criteri di calcolo del termine di prescrizione, superando il previgente sistema che prevedeva sei fasce di reati, ciascuna delle quali era qualificata da una relazione tra limiti edittali massimi di pena e diversi termini minimi di prescrizione. Invero, ora è legge a prestabilire la durata cronologica necessaria per la maturazione di tale causa estintiva per ciascun reato, così che il ruolo del giudice ne risulta affievolito.
Peraltro, le Sezioni unite evidenziano come la stessa giurisprudenza della Corte costituzionale abbia avallato l'opzione legislativa secondo la quale la rinuncia a perseguire i fatti criminosi debba essere rapportata alla gravità del reato nella sua massima ipotizzabile esplicazione sanzionatoria prevista per la fattispecie base e sul massimo aumento di pena previsto per quelle circostanze aggravanti a effetto speciale e che comportano un mutamento qualitativo della pena.
In conclusione, le Sezioni unite hanno escluso che il limite all'aumento di pena di cui all'art. 99 c.6 c.p. rilevi in ordine alla definizione della recidiva qualificata come circostanza a effetto speciale e che influisca sui termini di prescrizione determinati ai sensi degli artt. art. 157 del c.p. e art. 161 del c.p., come modificati dalla legge n. 251/2005.