L’esecutivo è, quindi, chiamato a trovare un equilibrio tra la gestione delle finanze pubbliche e le aspettative del proprio elettorato.
In particolare, sono due le iniziative che molto probabilmente verranno riproposte.
La prima riguarda il taglio del cuneo fiscale, la cui proroga è già stata annunciata. Il taglio avverrà in misura pari al 7% per i redditi da lavoro sotto i 25mila euro e al 6% per quelli tra i 25mila e i 35mila euro.
Anche l'accorpamento dei primi due scaglioni dell’Irpef in un’unica aliquota del 23% - per i redditi fino a 28mila euro - dovrebbe rimanere in vigore. Si sta, inoltre, valutando di abbassare la seconda aliquota (35% per i redditi compresi tra i 28mila e i 50mila euro) o persino di ritoccare la terza, che riguarda i soggetti con guadagni superiori ai 50mila euro.
Altra questione attiene al “bonus mamma”. Tale misura introduce, dal 1° gennaio 2024 al 31 dicembre 2026, un esonero del 200% sui contributi previdenziali a favore delle lavoratrici dipendenti con contratto a tempo indeterminato e con almeno tre figli a carico, fino a quando il più piccolo non compia 18 anni. Lo stesso beneficio è esteso anche alle madri con due figli, ma solo fino al decimo compleanno del figlio più giovane.
Ebbene, è proprio questa seconda tipologia di “bonus mamma” a essere a rischio cancellazione, vista la scarsa disponibilità di risorse economiche.
Oggetto di discussione è anche la possibile proroga del taglio del Canone Rai, una tassa poco gradita dagli italiani, che nel 2024 è stata ridotta da 90 a 70 euro.
Alcune modifiche potrebbero riguardare anche il “Superbonus lavoro”, la misura che offre la possibilità alle aziende di stipulare contratti a tempo indeterminato, con la deduzione di una parte del costo del lavoro pari al 120%, che sale al 130% per gli ex percettori del reddito di cittadinanza, giovani e donne. Questa misura è valida per le assunzioni effettuate dal 1° settembre 2024 al 31 dicembre 2025; pertanto, anche se non dovesse essere rinnovata, rimarrebbe comunque in vigore per tutto il 2025.
Infine, a forte rischio cancellazione la decontribuzione per i datori di lavoro del Mezzogiorno, che attualmente prevede uno sgravio fino al 30%.