Secondo gli Ermellini, invero, il fatto che il movente risieda nella frustrazione per il disagio coniugale e per il fallimento dei tentativi di riconciliazione familiare deve condurre l’interprete a qualificare la spinta delittuosa come lieve. Se, dunque, a un movente debole come quello in parola consegue un puro istinto criminale, sussiste una sproporzione e l’aggravante è senz’altro applicabile.
Sono, difatti, rispettati i requisiti richiesti da pacifica giurisprudenza di legittimità (si veda Cassazione c.d. Vetuschi, n. 45138/2019) per l’accertamento della circostanza aggravante dei futili motivi, che si deve svolgere con metodo bifasico. Essa, infatti, richiede la sussistenza:
- del dato oggettivo, costituito dalla sproporzione tra il reato concretamente realizzato e il motivo che lo ha determinato;
- del dato soggettivo, costituito dalla possibilità di connotare detta sproporzione quale espressione di un moto interiore assolutamente ingiustificato, tale da configurare lo stimolo esterno come mero pretesto per lo sfogo di un impulso criminale.
Inoltre, la Corte ricorda che l’aggravante in oggetto è applicabile anche all’uxoricidio determinato non dal risentimento per la fine della relazione coniugale ma dalla gelosia, essendo sempre futile la spinta motivazionale sottesa al delitto e pertanto maggiore la riprovevolezza dell’azione.
Il caso giunto all’attenzione della Suprema Corte, in particolare, vedeva imputato un uomo che aveva ucciso la moglie con quarantasei coltellate, davanti alla suocera e al figlio, in quanto non si era rassegnato alla fine della loro relazione coniugale.
All’esito di rito abbreviato, il GUP aveva dunque condannato l’imputato alla pena di anni trenta di reclusione per omicidio aggravato dai futili motivi.
La Corte di Assise di appello, successivamente, aveva ordinato una perizia psichiatrica accogliendo l’istanza dell’imputato: poiché tale ulteriore attività istruttoria aveva però escluso l’esistenza di elementi psicopatologici significativi, tuttavia, la Corte aveva confermato la condanna pronunciata in primo grado riconducendo l’aggressione improvvisa allo stato emotivo e passionale, irrilevante ai sensi dell’art. 90 c.p., innescato dal rifiuto della moglie di addivenire ad una riconciliazione con il marito e a prestarsi ad un rapporto sessuale.
L’imputato aveva allora proposto ricorso in Cassazione, dolendosi – limitatamente a quanto qui di interesse – della violazione dell’art. 61 n. 1 c.p. Secondo la difesa, infatti, i motivi posti a fondamento del femminicidio erano tutt’altro che futili, posto che la donna aveva probabilmente intrapreso una relazione extraconiugale e si era progressivamente allontanata dal marito fino a chiederne la separazione, così cagionando in quest’ultimo l’accumulo di rabbia e sofferenza sfociato nell’omicidio.
La Suprema Corte, tuttavia, ha ritenuto inammissibile siffatta impugnazione in quanto basata su motivi vietati dalla legge con riferimento all’ipotesi, ricorrente nel caso di specie, della “doppia conforme”, precisando in ogni caso quanto sopra riportato in relazione all’aggravante dei futili motivi.