Il caso ha preso avvio dalla condanna, da parte del Tribunale di Napoli, di due ex coniugi per aver abbandonato il proprio bulldog, legandolo ad un palo all’esterno di un centro veterinario. Il cane, dotato di microchip di riconoscimento, era stato affidato dall’uomo all’ex moglie perché, per motivi di lavoro, si sarebbe dovuto allontanare, non potendo prendersene cura. L’ex moglie, tuttavia, non amava gli animali ed era esasperata dalla detenzione del cane perché sbavava continuamente e rompeva i mobili di casa; per questo aveva deciso di abbandonare l’animale e, nonostante l’addetto del centro veterinario avesse ritrovato il cane e l’avesse contattata, non era passata a prelevarlo, facendolo trasferire al canile, dove poi era stato ritirato da un delegato dell’ex marito.
Alla luce di questi fatti, il
tribunale aveva
condannato entrambi gli ex coniugi per
abbandono di animali ex art.
727 c.p.: era stata, infatti, ritenuta sussistente la
responsabilità concorsuale dell’ex marito in ragione del fatto che egli fosse a conoscenza dell’avversione dell’ex moglie nei confronti del cane e che mancassero, negli accordi di separazione tra loro intercorsi, delle disposizioni in ordine al suo affidamento. L’ex marito aveva così proposto
ricorso in Cassazione.
L’art.
727 c.p. punisce chiunque abbandoni animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività, oppure detenga animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze. Costantemente la giurisprudenza ha affermato che il
reato in questione ricorre non soltanto quando vengano posti in essere comportamenti crudeli nei confronti di animali tali da destare un comune sentimento di pietà e ripugnanza, ma anche quando, attraverso
condotte colpose di abbandono e noncuranza, sia offesa la sensibilità psicofisica degli animali quali autonomi esseri viventi.
Trattandosi di un reato contravvenzionale, non è necessario che la condotta sia sorretta da dolo, ma è sufficiente la colpa, quindi esso può configurarsi anche per mera negligenza.
Rispetto alla
condotta di abbandono vera e propria di cui al comma 1 dell’art.
727 c.p., in giurisprudenza si è affermato che questa sia integrata quando la relazione di custodia e di cura instauratasi tra il padrone e l’animale venga interrotta, lasciando quest’ultimo in un luogo dove non sia più possibile ricevere alcuna cura, e ciò a prescindere da ulteriori possibili eventi quali le sofferenze o la morte dell’animale conseguenti all’abbandono.
La Corte di Cassazione si è espressa nel caso in esame con la
sentenza n. 6609/2020, dichiarando il ricorso
inammissibile. La Suprema Corte, infatti, ha osservato che nei precedenti gradi di giudizio era emerso lo stato di abbandono del cane, lasciato legato al palo in balia di sé stesso per un apprezzabile lasso di tempo, senza che nessuno dei proprietari si fosse preoccupato di affidarlo a cure altrui; oltretutto, non sussisteva alcun tipo di accordo tra i due ex coniugi in ordine all’affidamento del cane dopo la separazione.
La Cassazione ha confermato la
responsabilità penale sia dell’ex moglie, per essere stata l’autrice materiale dell’abbandono, sia dell’ex marito, a titolo di
dolo eventuale, poiché quest’ultimo, nonostante fosse stato a conoscenza dell’avversione della donna nei confronti dell’animale, aveva comunque affidato a questa l’animale,
assumendosi il rischio che lo abbandonasse.