Cass. civ. n. 27777/2008
Il bilancio, redatto dal commissario liquidatore per determinare il reddito di impresa relativo al periodo compreso tra l'inizio dell'esercizio e il provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa, a norma dell'art. 125 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (rinumerato come art. 183 dall'art. 1, del d.lgs. 12 dicembre 2003, n. 344), è atto dovuto del commissario, sia pure nominato in carenza di poteri ed insediato di fatto nella carica, e, atteso il suo contenuto e la sua funzione informativa e di raccordo fra la gestione "in bonis" e quella commissariale, secondo il principio della continuità dei bilanci, va qualificato come bilancio di esercizio della società, dunque regolato dagli artt. 2423-2426 cod. civ.; peraltro, l'inapplicabilità delle regole ordinarie di impugnazione (derivante dalla mancanza della deliberazione assembleare di approvazione, in ragione della cessazione, anche di fatto, delle funzioni degli organi sociali) non ha altra conseguenza se non quella di rendere applicabili le comuni azioni di accertamento della nullità secondo il combinato disposto degli artt. 1324 e 1418 cod. civ., non potendosi negare l'interesse del socio ad impugnare tale bilancio sulla base della mera circostanza che esso sia redatto dal commissario liquidatore, invece che dall'organo amministrativo.
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L'atto di preposizione del commissario liquidatore alla gestione della società, contestualmente posta in liquidazione coatta amministrativa, sebbene emesso in carenza di potere, comporta, allorché sia stato eseguito con la presa in consegna dei beni della società, delle scritture contabili e degli altri documenti dell'impresa da parte del commissario, l'assunzione e l'esercizio stabile di fatto della gestione della società; pertanto, la nullità dell'atto di preposizione non può eliminare gli effetti concretamente prodottisi nella realtà fenomenica, i quali, coinvolgendo un numero imprecisato e potenzialmente illimitato di soggetti, devono per questa ragione considerarsi irreversibili, con la conseguenza che il bilancio non può ritenersi retroattivamente viziato in ragione della mera illegittimità della nomina del commissario.
Cass. civ. n. 372/1991
L'impresa sottoposta a liquidazione coatta amministrativa, in relazione ad eventuali omissioni o ritardi in cui incorra il commissario liquidatore nella formazione e nel deposito dello stato passivo, può ricorrere all'autorità di vigilanza, e, poi, in via giurisdizionale, al giudice amministrativo, considerato che le sue posizioni soggettive, rispetto agli atti posti in essere da detto commissario in qualità di organo della P.A., hanno natura di interessi legittimi.
Cass. civ. n. 5223/1989
Con riguardo all'impugnazione degli atti del commissario della liquidazione coatta amministrativa deve essere affermata la giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo, ove si verta in tema di provvedimenti amministrativi, mentre va dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario, quando si tratti di contratti od in genere di atti di natura privatistica (nella specie, transazione), ricollegandosi l'impugnazione stessa a posizioni di diritto soggettivo.