La previsione dell'
aggiornamento del canone di locazione, contemplato dalla norma in esame a favore del
locatore, è contemperata, all'interno della
Legge equo canone, da altre norme dettate a favore del
conduttore.
Tra tali disposizioni è possibile ricordare:
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l'art. 11, che prevede un limite massimo di tre mensilità per la determinazione della somma data a titolo di cauzione;
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l'art. 7, che prevede la nullità della clausola che prevede la risoluzione del contratto in caso di alienazione della cosa locata;
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l'art. 8, che prevede una pari ripartizione tra conduttore e locatore per le spese di registrazione del contratto.
Il fondamento della disposizione in commento risiede nella possibilità per il locatore di tutelarsi a fronte di eventuali variazioni del canone legate ai fenomeni di svalutazione monetaria.
Tuttavia le parti, nella loro autonomia contrattuale,
non sono autorizzate a inserire nel contratto di locazione una clausola che preveda un aggiornamento
automatico del canone, in assenza di una
puntuale richiesta da parte del
locatore, che è una condizione essenziale e imprescindibile per la nascita del diritto in questione. Vi è di più: una clausola di tal fatta, che preveda l’aggiornamento annuale automatico del canone, sarebbe affetta da
nullità sulla base della previsione di cui all’
art. 79 della l. equo canone, poiché, come detto, gli aumenti del canone sono leciti solo se espressamente richiesti di volta in volta dal locatore. La
ratio di tale nullità trova il suo fondamento in una esigenza di tutela del conduttore, al quale deve essere garantito di conoscere esattamente e puntualmente l’importo che sarà tenuto a corrispondere a titolo di canone di locazione, essendo contraria al disposto normativo una richiesta anticipata di aggiornamento del canone. Non sarà possibile per il locatore nemmeno chiedere gli
arretrati derivanti dall’aggiornamento del canone non puntualmente sollecitati, poiché tale diritto sorge solo dal momento della richiesta e vale solamente per l’avvenire.
Sarà quindi necessario inserire nel contratto di locazione una specifica clausola che preveda l’aggiornamento del canone, potendo la stessa essere riferita al 100% delle variazioni degli indici Istat del costo della vita per famiglie di operai ed impiegati, ma anche al 75%, a seconda che si voglia maggiormente favorire l’inquilino oppure il locatore. Nel caso si faccia riferimento alla misura del 100% dell'indice Istat, tuttavia, è necessario considerare che deve in ogni caso essere fatta salva l'applicazione delle norme imperative di legge vigenti durante l'esecuzione del contratto, comprese le eventuali limitazioni all'aggiornamento stesso.
Dall’aggiornamento del canone, espressamente autorizzato dalla norma in commento, va distinto il vero e proprio aumento del canone, che può derivare dall’inserimento di clausole di diverso tipo, che consentano in qualche modo al locatore di ottenere somme diverse e ulteriori rispetto al canone inizialmente concordato.
La Corte di Cassazione, con una interessante sentenza, la n. 326 del 1990 (confermata poi nel 2000 con sentenza n. 1070), ha sancito la nullità della clausola volta a prevedere l’aumento del canone di una percentuale determinata ogni anno (per esempio, una clausola che preveda l'aumento del canone, ogni anno, del 5%). Ad avviso della giurisprudenza, infatti, tale clausola si concretizza in un espediente diretto a neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria, ed è per questo da considerarsi illegittima.
Tuttavia, altra giurisprudenza ha viceversa dichiarato la legittimità della clausola che miri ad aumentare il canone nel tempo, se tale aumento è determinato dai crescenti vantaggi derivanti dal godimento del bene da parte del conduttore dovuti, per esempio, all'incrementato valore commerciale della zona in cui è locato l’immobile.
Pacificamente ammessa, invece, è la clausola diretta a determinare il canone in maniera composita, in parte costituito da una somma di denaro e, per la restante parte, da somme necessarie per le opere di restauro dell’immobile.
In sostanza, l’orientamento giurisprudenziale dominante è nel senso di ritenere che debba considerarsi nulla, per contrasto con la disposizione di cui all’art.
79, ogni clausola contrattuale relativa al canone di locazione che sia volta ad ottenere una
maggiorazione del
canone in
misura fissa, senza coordinare tale aumento con un
effettivo accrescimento della
controprestazione a favore del conduttore.
È invece da ritenersi sempre legittima la clausola contrattuale che preveda semplicemente l’adeguamento dei patti stipulati tra le parti alle successive modifiche normative che dovessero intervenire nel tempo, non configurando tale modifica un indebito vantaggio per il locatore, favorito dalla volontà del legislatore, susseguente la stipulazione del contratto.
Controversa è la questione se l’aggiornamento annuale del canone debba essere effettuato applicando l’aumento sul canone aggiornato dell’anno precedente o se, viceversa, vada attuato applicando il diverso criterio delle “variazioni assolute”.
In tal senso, le opinioni della giurisprudenza non sono del tutto concordi.
Infatti, alcuni interpreti ritengono che l’aumento del canone vada effettuato secondo il criterio delle cosiddette “variazioni assolute”, che è maggiormente favorevole per la la parte locatrice. Il diverso criterio delle “variazioni relative”, sulla base del quale si applica l'aumento annuale sul canone già aggiornato l’anno precedente, sarebbe evidentemente più favorevole per il conduttore.
Altra parte della giurisprudenza, diversamente opinando, ritiene invece che il calcolo degli aumenti del canone successivi al primo vada effettuato avendo come riferimento non il canone iniziale, bensì al canone che risulta dal canone già precedentemente aggiornato.