Cass. civ. n. 13532/2016
In materia di distanze delle costruzioni dagli argini, gli artt. 133, lett. a), del R.D. n. 268 del 1904 e 96, lett. f), del R.D. n. 523 del 1904 regolano due diversi regimi, che, in ragione dell'oggetto e delle esigenze poste a fondamento di ciascuno, sono da ritenersi tuttora vigenti malgrado il sopravvenuto art. 144 del D.Lgs. n. 152 del 006 (secondo cui tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, appartengono al demanio dello Stato) atteso che il primo, concernente le opere di bonifica e le loro pertinenze, prevede, a seconda dell'importanza, una distanza minima per i fabbricati che può essere fissata da 4 a 10 metri, mentre il secondo riguarda tutte le altre acque pubbliche, le loro sponde, alvei e difese e fissa la distanza minima di 10 metri per le fabbriche, sicché è legittima la trasposizione nella propria normativa urbanistica, da parte di un comune, di differenti regimi per ciascun corso d'acqua. (Rigetta, Trib. Sup. Acque, 5 dicembre 2013). In tema di distanze dei fabbricati dagli argini fluviali, restano vigenti, pur in seguito all'entrata in vigore del c.d. Codice dell'ambiente (art. 144, D.Lgs. n. 152/2006), gli artt. 133, lett. a) e 96, lett. f), R.D. n. 523/1904, i quali fissano, in tema di opere di bonifica, una distanza minima tra 4 a 10 metri e, con riferimento a tutte le altre acque pubbliche, la distanza minima di 10 metri. Pertanto, legittimamente un'amministrazione comunale può trasporre nella propria normativa urbanistica i diversi regimi per ciascuno dei diversi corsi d'acqua.
Cass. civ. n. 27882/2013
La legge (nella specie regionale) che, in presenza di più richieste di concessione di derivazione d'acqua, anche per fini idroelettrici, preveda la preferenza alla domanda presentata dall'ente locale territoriale, appare, non essendo intesa ad assicurare una tutela più intensa all'interesse ambientale coinvolto nell'uso della risorsa idrica, del tutto incoerente rispetto alle regole di concorrenza e suscettibile, al contempo, di effetti discriminatori e distorsivi, almeno potenzialmente, anche a danno delle imprese degli altri Stati membri.
Trib. Sup. acque n. 197/2013
Non è configurabile in capo alla gestione commissariale una competenza in merito al controllo ed alla tutela dall'uso incongruo della risorsa idrica. Tali compiti spettano non alle AATO, bensì alla Regione, in virtù dell'art. 142, c. 2 del D.Lgs. n. 152/2006 e delle competenze loro assegnate dall'art. 117, III c., Cost., da leggere in una con l'art. 144, commi 2 e 3. Ciò vuol dire non già che l'interesse all'uso corretto della risorsa stessa resti acefalo, ma più propriamente che non e affidato alla cura delle disciolte AATO, a differenza di quanto riguarda le infrastrutture idriche, la cui tutela in effetti fu assegnata pure ad esse dall'art. 143, c. 2 del D.Lgs. 152/2006. È appena da osservare che la tutela della risorsa non può esser confusa con le competenze commissariali di salvaguardia e conservazione del patrimonio del disciolto ente, giacché la risorsa è un bene comune gestito ai soli fini del SII e non anche personalmente posseduto a mo' di bene "aziendale".
Corte cost. n. 100/2012
È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 24, L.R. 19 maggio 2011, n. 6, Friuli-Venezia Giulia, nella parte in cui, modificando l'art. 18, L.R. 15 maggio 2002, n. 13, Friuli-Venezia Giulia, prevede, con riguardo alla disciplina degli scarichi, l'assimilazione alle acque reflue domestiche delle acque utilizzate per scopi geotermici che non siano state utilizzate nell'ambito dei cicli produttivi e che non abbiano subito trattamenti chimici, in riferimento all'art. 117, 2 comma, lett. s), Cost.
Cass. pen. n. 12998/2012
È legittimo il sequestro preventivo di beni immobili realizzati in zona di inedificabilità assoluta per violazione della fascia di rispetto di dieci metri dal piede degli argini dei "corsi d'acqua" (art. 96, lett. f, R.D. 25 luglio 1904, n. 523), conservando essi la caratteristica di appartenenza al demanio dello Stato anche se intubati ed inseriti in un contesto antropizzato. (Annulla con rinvio, Trib. lib. Firenze, 11 febbraio 2011).
Corte cost. n. 1/2010
Il riparto delle competenze tra Stato e Regioni in materia di acque minerali e termali, dipende dalla distinzione tra uso delle acque minerali e termali, di competenza regionale residuale, e tutela ambientale delle stesse acque, che è di competenza esclusiva statale, ai sensi del vigente art. 117, c. 2, lett. s), Cost. L'art. 97 del D.Lgs. n. 152 del 2006, stabilisce che le concessioni di acque minerali e termali, e cioè i provvedimenti amministrativi che riguardano la loro utilizzazione, devono osservare i limiti di tutela ambientale posti dal Piano di tutela delle acque, in modo che non sia pregiudicato il patrimonio idrico, secondo quanto dispone il c. 3 dell'art. 144 del D.Lgs. n. 152 del 2006, e sia assicurato l'equilibrio del bilancio idrico, come prevedono l'art. 145 ed il c. 6 dell'art. 96 del medesimo D.Lvo. Si tratta di un evidente concorso di competenze sullo stesso bene (le acque minerali e termali), competenze che riguardano, per quanto attiene alle Regioni, l'utilizzazione del bene e, per quanto attiene allo Stato, la tutela o conservazione del bene stesso.
Corte cost. n. 246/2009
Non è fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 154 e 155 del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, sollevata in relazione agli artt. 117, quarto comma, e 119, primo e secondo comma, Cost. La dedotta violazione delle competenze regionali non sussiste, perché la disciplina degli artt. 154 e 155 è ascrivibile, in prevalenza, alla tutela dell'ambiente e alla tutela della concorrenza, materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato. Attraverso la determinazione della tariffa nell'ambito territoriale ottimale, il legislatore statale ha fissato, infatti, livelli uniformi di tutela dell'ambiente, perché ha inteso perseguire la finalità di garantire la tutela e l'uso, secondo criteri di solidarietà, delle risorse idriche, salvaguardando la vivibilità dell'ambiente e "le aspettative ed i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale" e le altre finalità tipicamente ambientali individuate dagli artt. 144 (Tutela e uso delle risorse idriche), 145 (Equilibrio del bilancio idrico) e 146 (Risparmio idrico). La finalità della tutela dell'ambiente viene, inoltre, in rilievo anche in relazione alla scelta delle tipologie dei costi che la tariffa è diretta a recuperare. Tra tali costi il legislatore ha, infatti, incluso espressamente quelli ambientali, da recuperare anche secondo il principio "chi inquina paga" (art. 154, comma 2). I profili della tutela della concorrenza vengono poi in rilievo perché alla determinazione della tariffa provvede l'Autorità d'ambito, al fine di ottenere un equilibrio economico-finanziario della gestione e di assicurare all'utenza efficienza ed affidabilità del servizio (art. 151, comma 2, lettere c, d, e). Tale fine è raggiunto determinando la tariffa secondo un meccanismo di price cap (artt. 151 e 154, comma 1), diretto ad evitare che il concessionario unico abusi della sua posizione dominante. La disciplina degli artt. 154 e 155 D.Lgs. n. 152/2006 è ascrivibile, in prevalenza, alla tutela dell'ambiente e alla tutela della concorrenza, materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato. Attraverso la determinazione della tariffa nell'ambito territoriale ottimale, il legislatore statale ha fissato, infatti, livelli uniformi di tutela dell'ambiente, perché ha inteso perseguire la finalità di garantire la tutela e l'uso, secondo criteri di solidarietà, delle risorse idriche, salvaguardando la vivibilità dell'ambiente e "le aspettative ed i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale" e le altre finalità tipicamente ambientali individuate dagli artt. 144 (Tutela e uso delle risorse idriche), 145 (Equilibrio del bilancio idrico) e 146 (Risparmio idrico). La finalità della tutela dell'ambiente viene, inoltre, in rilievo anche in relazione alla scelta delle tipologie dei costi che la tariffa è diretta a recuperare. Tra tali costi il legislatore ha, infatti, incluso espressamente quelli ambientali, da recuperare "anche secondo il principio "chi inquina paga" (art. 154, comma 2). I profili della tutela della concorrenza vengono poi in rilievo perché alla determinazione della tariffa provvede l'Autorità d'ambito, al fine di ottenere un equilibrio economico-finanziario della gestione e di assicurare all'utenza efficienza ed affidabilità del servizio (art. 151, comma 2, lettere c, d, e). Tale fine è raggiunto determinando la tariffa secondo un meccanismo di price cap (artt. 151 e 154, comma 1), diretto ad evitare che il concessionario unico abusi della sua posizione dominante (sentenze nn. 335 e 51 del 2008).