La
ratio di questa norma deve individuarsi nella volontà del legislatore italiano di rafforzare la tutela dei consumatori, prevedendo un divieto di carattere generale di imporre costi di qualunque genere per l’uso di un determinato strumento di pagamento.
Essa riprende il contenuto dell’ art. 3, comma 4 del D.lgs. n. 11/2010, prevedendo al comma 1 che i professionisti non possono imporre ai consumatori, in relazione all’uso di determinati “strumenti di pagamento”, le spese per l’uso degli stessi, nonché, nei casi espressamente stabiliti, le tariffe che superino quelle sostenute dal
professionista.
Il successivo comma 4 bis del D.lgs. n. 11/2010 aggiunge che l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) è designata quale autorità competente a verificare l’osservanza di tale divieto e ad applicare le relative sanzioni, avvalendosi a tal fine degli strumenti, anche sanzionatori, previsti dal Codice del consumo.
La competenza dell’AGCM deve essere inoltre coordinata con quella della Banca d’Italia ed a tal fine il comma 4 ter del d.lgs. n. 11/2010 stabilisce che le predette autorità possono collaborare tra di loro, al fine di agevolare le rispettive funzioni, anche mediante lo scambio di informazioni.
Occorre osservare che, mentre l’ art. 3, comma 4 del d.lgs. n. 11/2010 si riferisce alle sole “spese” per l’utilizzo di strumenti di pagamento, il primo comma della norma in esame contempla anche le “
tariffe nei casi espressamente stabiliti”, limitando per queste ultime il divieto di addebito al
consumatore per i soli importi eccedenti quelli effettivamente sostenuti dal professionista stesso (da come risulta formulato il primo comma, non risulta chiaro se il temperamento del divieto possa travalicare le “tariffe” ed applicarsi anche alle “spese”).
E’ stato inoltre sostenuto che la portata della norma si esaurisca nel disporre che, allorquando il consumatore scelga di pagare il
corrispettivo dovuto a seguito della conclusione di uno dei contratti di cui all’
art. 60 del codice consumo attraverso un mezzo di pagamento la cui fruizione non comporti per la controparte alcuna ‘spesa’, il professionista non possa addebitargli alcun costo a tale titolo, mentre nel caso in cui tale scelta abbia la conseguenza di gravarlo di una tariffa legata all’uso del metodo di pagamento, egli non può richiedere un separato compenso per tale servizio, potendo esigere di riversare sul primo soltanto i costi che sopporta in ragione della scelta del consumatore.
Il secondo comma prevede l’obbligo, per l’emittente la carta di pagamento, di riaccreditare in favore del consumatore i pagamenti dallo stesso effettuati qualora l’operazione di addebito risulti eccedente rispetto al prezzo pattuito tra il consumatore e il professionista, oltre che nella diversa ipotesi in cui vi sia stato un uso fraudolento della carta di credito del consumatore da parte del professionista medesimo o di un terzo.
All’emittente, tuttavia, viene a propria volta riconosciuto il diritto di addebitare al professionista, che ne sopporterà le perdite, le somme riaccreditate al consumatore.
Poiché il secondo comma menziona soltanto un tipo di strumento di pagamento (ossia la “ carta di pagamento”), si ritiene che lo stesso abbia una portata applicativa più ristretta del precetto contenuto al primo comma, ove ci si riferisce in termini generici agli “strumenti di pagamento”, da intendersi come “ogni modalità di pagamento di un’obbligazione avente ad oggetto una somma di denaro” e, dunque, nel senso più generico ed atecnico di “mezzi di pagamento” o “modalità di pagamento”.
Viene, dunque, riversato sul professionista il rischio economico conseguente a pratiche fraudolente ovvero a pagamenti eccedenti rispetto a quelli pattuiti, tenuto conto che l’emittente la carta di pagamento ha la facoltà di addebitare al professionista le somme riaccreditate al consumatore.
Il consumatore rimane comunque responsabile dell’ utilizzo non autorizzato e fraudolento della propria carta di pagamento conseguente ad una sua condotta negligente rispetto agli obblighi di custodia e di tempestiva comunicazione all’istituto di emissione in caso di furto, perdita o falsificazione ovvero di indebito utilizzo della stessa, in conformità a quanto previsto dagli artt. 7, 8, 11 e 12, del D.lgs. n. 11/2010.
Come può notarsi, la disciplina del codice del consumo va dunque raccordata con quella di cui al predetto d.lgs. n. 11/2010, di attuazione della dir. 2007/64/CE relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno: se l’utilizzatore della carta ha assolto tempestivamente agli obblighi di comunicazione e ottemperato a quelli di sicurezza in ordine ai dispositivi che ne consentono l’uso, questi ha il diritto al riaccredito delle somme sia nel caso di operazioni di pagamento non autorizzate, sia nel caso di utilizzo non autorizzato degli strumenti di pagamento, in conseguenza di smarrimento, sottrazione o indebito utilizzo.
Se viene omessa la tempistica di comunicazione al prestatore dei servizi di pagamento, l’utilizzatore può sopportare una perdita complessiva non superiore a 150 euro dell’importo erogato a seguito dell’utilizzo indebito dello strumento di pagamento, conseguente a furto o smarrimento dello stesso; soltanto in caso di dolo o
colpa grave l’utilizzatore sopporta per intero la perdita derivante dalle operazioni di pagamento non autorizzate, anche oltre il limite di 150 euro.