Anche qui si tratta di una disposizione che riproduce fedelmente altra analoga (art. #898#) del codice precedente, ispirandosi al rispetto della volontà del testatore che opera al riguardo in regime di piena autonomia, e provvedendo presuntivamente per il caso in cui la detta volontà non risulti manifesta.
Nulla da illustrare in merito alla chiara disposizione della prima parte dell’articolo. Si intende che, subentrando un unico sostituito a più istituiti, egli concentrerà in se stesso tutto il compendio della successione; viceversa, più essendo i sostituiti rispetto ad un solo istituito, l’eredità sarà divisa fra costoro in parti uguali, salvo che il testatore abbia diversamente disposto. La sostituzione può essere disposta anche per il caso di mancanza di uno solo fra i più istituiti, laddove il sostituito subentrerà nella rispettiva quota accanto all’altro istituito che abbia adito per sua parte la successione.
Il secondo comma tratta della sostituzione reciproca, nell’ambito ed a beneficio corrispettivo degli stessi istituiti. La situazione contemplata e gli effetti che ne derivano sono molto analoghi a quelli del diritto di accrescimento. Vi è differenza, tuttavia, nella concezione giuridica e nei presupposti: l’accrescimento opera ope legis nel caso di chiamata congiuntiva di più coeredi (o legatari) e sempre che non risulti di una diversa volontà del testatore intenda escluderlo, mentre invece, nelle sostituzioni, la reciprocità deve derivare da disposizione espressa. D’altro canto, l’accrescimento ha per presupposto che la chiamata congiuntiva dei coeredi sia senza determinazione di quote ed in parti uguali, riferita cioè al complesso di una pluralità, generalmente familiare, per cui si presume sia intenzione del testatore che la quota mancante profitti alla pluralità come tale, dividendosi fra i superstiti così come si sarebbe già divisa se il numero dei chiamati fosse rimasto integro; mentre la sostituzione reciproca può operare anche nel caso in cui nell'istituzione plurima non sia stata osservata l’uguaglianza delle quote, come ben possibile in relazione all'autonomia della volontà del testatore. In tal caso la legge, presumendo quella che possa essere stata al riguardo la volontà del testatore, dispone che la disuguaglianza delle quote operi nella stessa proporzione fra gli istituiti (che diventano sostituiti) anche per la divisione del compendio della sostituzione, dipendente dalla rinuncia di uno o più fra di loro.
Così, nominati tre eredi nell'istituzione, rispettivamente per 1/8, per 3/8 e per 4/8, mancando quest’ultimo e dovendo provvedersi alla sostituzione reciproca in favore degli altri coeredi, la porzione vacante sarà divisa fra costoro nella stessa proporzione, di una parte all’uno e di tre parti all’altro. Naturalmente, trattandosi solo di una presunzione risalente alla volontà del testatore, essa cederà quando risulti chiaramente di una volontà contraria.
Si applicherà, d’altra parte, il criterio dell’uguaglianza, malgrado la disuguale istituzione, quando si tratta di sostituzione mista, a favore dei coeredi istituiti superstiti e di un’altra persona, presumendosi qui che, per evitare l’empirismo di una diversa divisione, sia stata volontà del testatore quella della distribuzione della quota mancante in parti uguali.
Importantissima differenza, poi, tra la sostituzione reciproca e l'accrescimento, è quella che la prima, in quanto derivante da volontà espressa del testatore, prevale anche alla rappresentazione, profitta cioè ai coeredi istituiti superstiti senza che nella quota resasi vacante possano subentrare i rappresentanti come sarebbe per legge. Mentre, invece,
l’accrescimento, come effetto di una semplice presunzione legale, cede alla rappresentazione, la quale deriva a sua volta da una presunzione di volontà del
de cuius, che deve ritenersi prevalente per ovvie ragioni all’altra. Questa era già la prevalente opinione della dottrina e della giurisprudenza, nel silenzio al riguardo delle corrispondenti disposizioni del precedente codice relative al diritto di accrescimento (art. #895# ss. del codice del 1865). L’attuale codice, ad ogni modo, ha ritenuto di risolverla esplicitamente, dichiarando (nell’ultima parte dell’art.
674 per quanto riguarda l’accrescimento fra coeredi, come pure nell’art.
675 per l’accrescimento fra collegatari) che si deve considerare salvo in ogni caso il diritto di rappresentazione. Questa precisazione non è stata ripetuta, invece, a proposito delle sostituzioni.