Quest’articolo, che più opportunamente sarebbe stato collocato dopo quello successivo, risolve una vecchia questione, sorta nel silenzio del codice precedente, come di quello francese. Se la cosa oggetto della liberalità non è recuperabile in natura e la persona obbligata per l’equivalente in danaro è insolvente, è da stabilire chi sopporta le conseguenze di questa insolvenza.
Il dubbio non sorge quando la cosa sia perita per caso fortuito, discendendo in tal caso dai principi che il valore della stessa non si computi nella massa ereditaria. Sorge invece nel caso in cui, determinandosi un’obbligazione per l’equivalente, in seguito al perimento della cosa per colpa della persona tenuta alla restituzione, o in seguito alla sua alienazione, quest’obbligazione resti insoddisfatta per insolvenza del debitore.
Secondo una teoria, le conseguenze dell’insolvenza avrebbero dovuto gravare sul legittimario, esclusa la riducibilità delle liberalità, altrimenti non soggette a riduzione, in particolare delle donazioni anteriori, perché, si diceva, queste ultime da sé non sarebbero state lesive. Altri ritenevano che il legittimario dovesse comunque conseguire l’intera legittima, e perciò l’insolvenza di uno dei gratificati dovesse gravare sugli altri, in particolare quella del donatario posteriore sui donatari precedenti: per costoro non aveva alcun peso la considerazione, fatta dai primi, che, se l’insolvenza non si fosse verificata, le altre liberalità non sarebbero state soggette a riduzione.
Una terza opinione infine, più seguita, che si raccomandava specialmente per il suo carattere equitativo, sosteneva che, come nel caso di perimento per fortuito, così in quello d’insolvenza dell’obbligato per l’equivalente, il valore della liberalità si sarebbe dovuto detrarre dalla massa ereditaria, con la conseguenza che gli effetti dell’insolvenza sarebbero stati risentiti proporzionalmente dai legittimari e dagli altri gratificati, in particolare dai donatari anteriori. Infatti, detraendo il valore irrealizzabile e venendo così ad essere diminuito il valore del patrimonio del de cuius, risultano inferiori il valore della legittima e corrispondentemente quello della riduzione delle altre liberalità.
La soluzione prospettata da ultimo è quella accolta dall’articolo in esame, il quale attribuisce però esplicitamente ai legittimari e agli altri gratificati, pregiudicati dall’insolvenza, una ragione di credito, per la differenza, verso l’insolvente.
Si deve notare che la norma impropriamente limita l’ipotesi all’insolvenza del solo donatario, avuto riguardo al caso che la cosa sia perita per colpa degli aventi causa del gratificato. L’ipotesi della norma deve ritenersi comprensiva del caso, in cui, potendosi chiedere l’equivalente della cosa all’avente causa, questi sia insolvente. Inoltre la norma, sebbene si riferisca letteralmente soltanto alle donazioni, deve ritenersi applicabile anche alle disposizioni testamentarie.