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Articolo 2283 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Ripartizione dei beni in natura

Dispositivo dell'art. 2283 Codice Civile

Se è convenuto che la ripartizione dei beni sia fatta in natura, si applicano le disposizioni sulla divisione delle cose comuni [1111, 2871, n. 2; 784 c.p.c.].

Ratio Legis

Generalmente, la liquidazione comporta la preventiva conversione in denaro del patrimonio sociale e il successivo pagamento dei creditori con la liquidità ricavatane. Ciononostante, qualora all'esito della liquidazione residuino dei beni patrimoniali, i soci possono disporre, di comune accordo, che la ripartizione dell'attivo venga operata in natura secondo le regole che informano la scioglimento dellacomunione (art. 1111).

Spiegazione dell'art. 2283 Codice Civile

Se si è stabilito che la ripartizione dei beni sia fatta in natura oppure nei casi in cui il liquidatore non abbia potuto o voluto monetizzare una parte del patrimonio sociale, accade che residuino attività rappresentate da beni mobili ed immobili.
In questi casi viene in essere una comunione pro indiviso, che segue la relativa disciplina, compreso il principio della rescindibilità per lesione oltre il quarto (art. 763).

Massime relative all'art. 2283 Codice Civile

Cass. civ. n. 17061/2011

Il principio della natura dichiarativa della divisione, secondo il quale ciascuno dei condividenti consegue solo ciò che è già suo, senza che intervenga alcuna alienazione, realizzandosi solo una trasformazione dell'oggetto del diritto, si applica, ai sensi degli artt. 1116 e 2283 c.c., anche alla divisione di beni conseguenti alla liquidazione dell'attivo patrimoniale residuo di una società di persone. Pertanto, se un coniuge ha fatto parte di una società in nome collettivo che si è trasformata in società semplice e poi ha cessato di esistere, con conseguente divisione tra i soci dei beni sociali, la natura retroattiva della divisione fa sì che, al fine di stabilire se tali beni facciano parte o meno della comunione legale tra coniugi, occorre fare riferimento al momento di acquisto del bene da parte della società e non a quello della divisione. (Fattispecie in cui l'acquisto da parte della società risaliva ad epoca antecedente l'entrata in vigore della riforma del diritto di famiglia di cui alla legge 19 maggio 1975, n. 151, momento in cui il socio coniuge era in regime di separazione dei beni).

Cass. civ. n. 424/1975

L'atto al quale l'art. 2283 c.c. dichiara applicabili le norme sulla divisione dei beni comuni non è l'atto di scioglimento della società bensì quello con cui, verificatosi per qualsiasi causa lo scioglimento del rapporto sociale e compiuta la liquidazione del patrimonio della società con un residuo attivo, i soci che si siano venuti così a trovare in uno stato di comunione sui beni residui provvedano alla ripartizione di tali beni fra loro. Il contratto con il quale uno dei soci attribuisce ad un altro socio la sua quota sociale, sia che ne consegua lo scioglimento del rapporto soltanto nei confronti del socio cedente, sia che ne consegua il totale scioglimento della società, non è mai qualificabile come contratto di divisione, neppure se con esso venga attuato anche il trasferimento di quote di beni conferiti alla società o acquistati da questa nel corso del rapporto. Contenuto di tale contratto non è infatti la trasformazione di una quota di comunione in porzione di titolarità singola, bensì l'attribuzione ad altro socio della titolarità della quota del socio cedente; controprestazione di tale attribuzione non è un corrispettivo corrispondente al valore di una porzione di beni comuni, bensì il versamento di una somma corrispondente al valore della quota di patrimonio sociale alla data dello scioglimento. (Nell'enunciare il principio di cui in massima, la S.C. ha ritenuto esatta la decisione dei giudici del merito, che avevano escluso l'applicabilità del rimedio della rescissione per lesione oltre il quarto — propria del solo contratto di divisione — ad un contratto di scioglimento di società).

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