Brocardi.it - L'avvocato in un click! CHI SIAMO   CONSULENZA LEGALE

Articolo 1532 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Diritto di opzione

Dispositivo dell'art. 1532 Codice Civile

Il diritto di opzione inerente ai titoli venduti a termine spetta al compratore.

Il venditore, qualora il compratore gliene faccia richiesta in tempo utile, deve mettere il compratore in grado di esercitare il diritto di opzione, oppure deve esercitarlo per conto del compratore, se questi gli ha fornito i fondi necessari.

In mancanza di richiesta da parte del compratore, il venditore deve curare la vendita dei diritti di opzione per conto del compratore, a mezzo di un agente di cambio o di un istituto di credito.

Ratio Legis

Poichè il diritto di opzione consiste nel diritto all'acquisto dei titoli di credito, esso spetta all'acquirente.

Spiegazione dell'art. 1532 Codice Civile

Diritto di opzione

Poiché l'opzione è un accessorio del titolo venduto, spetta al compratore.
Ma il venditore oltre all'obbligo di trasferire la proprietà e di prestarsi a quanto il compratore gli chiede (ad es. a compiere le formalità necessarie per l'esercizio di un'opzione in caso di aumento di capitale) non ha anche l'obbligo di anticiparne le somme necessarie: i fondi glieli deve fornire il compratore.
Nemmeno ha il venditore l'obbligo di rendersi parte diligente nell'avvertire il compratore dell'opzione. E il compratore che deve farne richiesta in tempo utile al venditore: il venditore, perduta ormai la proprietà del titolo, comunque ne possa essere informato delle ulteriori vicende, non ha però l'obbligo di segnalare al compratore un eventuale aumento di capitale e l'opzione spettante ai titoli venduti.

Tuttavia l'indifferenza del venditore non è più lecita quando i diritti di opzione hanno un valore venale. In tal caso, anche se non ne ebbe richiesta dal compratore, il venditore deve curare la vendita di tali diritti per conto del compratore, a mezzo di un agente di cambio o di un istituto di credito.
Sarebbe inescusabile la negligenza del venditore (anche se nulla gli fosse chiesto dal compratore) quando il diritto d'opzione fosse negoziato in borsa, o comunque avesse un prezzo corrente.
Tal negligenza del venditore sarebbe altrettanto colpevole quanto la negligenza del depositario o del creditore pignoratizio che trascurassero di percepire per conto del proprietario i frutti naturali o civili della cosa posseduta a titolo di deposito o di pegno.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

676 Della vendita a termine di titoli di credito. La vendita dai titoli di credito è stata trattata dal codice limitatamente a quella vendita a termine, che, secondo la terminologia corrente, si denomina a mercato fermo; rimanendo esclusi i contratti detti a premio, che hanno limitata importanza pratica, e il contratto per contanti, che non offre particolarità notevoli, e per il quale possono bastare le regole generali sulla vendita mobiliare, combinate con quelle stabilite dagli usi di borsa. Grave controversia pratica è sorta circa i c. d. diritti accessori dei titoli che sono oggetto di vendita a termine o circa gli obblighi accessori alla vendita (versamenti sui titoli non liberati). Gli uni e gli, altri, in forza degli articoli 1531 e 1534, incidono immediatamente e in definitiva sul compratore, mentre il diritto di voto inerente ai titoli azionari, è attribuito al venditore sino al momento della consegna del titolo, ossia sino al momento dell'esecuzione del contratto. Quanto al diritto di opzione che sia annesso ai titoli azionari, sono fissati alcuni doveri a carico del venditore (art. 1532 del c.c.). Con l'art. 1535 del c.c. si sono regolati gli effetti della proroga dell'esecuzione del contratto a termine su titoli, disponendosi che una delle parti contraenti deve all'altra l'eventuale differenza tra il prezzo dei titoli fissato in contratto e il prezzo corrente nel giorno della scadenza del contratto medesimo. Il richiamo a usi diversi, fatto nell'articolo predetto, si riferisce alla pratica, costante in materia di contratti a termine stipulati per il tramite di agenti di cambio, di effettuare la proroga del contratto impiegando la forma estrinseca del riporto, senza che peraltro vi si accompagni la consegna effettiva dei titoli, richiesta per il riporto dall'art. 1549 del c.c., e richiesta già, come è noto, dal secondo comma dell'art. 73 del codice di commercio. Si pose a carico di una delle parti l'eventuale differenza tra i prezzi, assumendo come termini di riferimento, da un lato il prezzo dei titoli fissato in contratto, dall'altro il c. d. prezzo di compenso, stabilito mensilmente dagli organi sindacali degli agenti di cambio. Poichè i contratti a termine su titoli possono stipularsi anche senza il tramite di un agente di cambio, con l'art. 1536 del c.c. si è rinviato, per la disciplina dell'inadempimento di essi, ai principii generali della vendita (articoli 1515 e 1516). Invece, quando i contratti stessi sono stipulati per il tramite degli agenti di cambio, gli effetti dell'inadempimento devono intendensi regolati dal r. d. 80 giugno 1932, n. 815; mentre sono disciplinati dalle norme del r. d. 20 dicembre 1932, n. 1607, quando i contratti si stipulano direttamente fra le parti, ma una di esse è iscritta nello speciale albo previsto da quest'ultimo regio decreto.

Massime relative all'art. 1532 Codice Civile

Cass. civ. n. 21641/2005

Nel caso di vendita a termine di titoli azionari, il diritto di recesso contemplato dall'art. 2437 c.c. (nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal D.L.vo 17 gennaio 2003, n. 6, applicabile nella specie ratione temporis) - a differenza del diritto di opzione e degli altri diritti presi in considerazione dagli artt. 1531 ss. c.c. - non passa immediatamente in capo al compratore, ma resta di spettanza del venditore fino al momento in cui, col maturare del termine, questi non abbia perso la titolarità delle azioni. Dai citati artt. 1531 ss. c.c. - destinati a risolvere specifiche situazioni di contrapposizione d'interessi tra compratore e venditore in ipotesi di vendita a termine di titoli di credito - non può infatti dedursi l'esistenza di un regola generale, in forza della quale, nel caso di vendita a termine di titoli azionari, tutti i diritti sociali si trasmettono immediatamente al compratore, con la sola eccezione del diritto di voto menzionato dal secondo comma dell'art. 1531. Né, d'altra parte, è ipotizzabile l'applicazione analogica al diritto di recesso della disciplina prevista per il diritto di opzione - che in pendenza del termine compete al compratore, ai sensi dell'art. 1532 - trattandosi di istituti di fondamento logico ben diverso: giacché l'uno - il diritto di opzione - è destinato ad assicurare a ciascun socio la possibilità di mantenere la preesistente percentuale di partecipazione in caso di aumento del capitale, e dunque esprime una esigenza di stabilità nel rapporto reciproco tra i soci; mentre l'altro - il diritto di recesso - è finalizzato a porre termine alla partecipazione sociale, consentendo al socio che dissente da determinate decisioni della maggioranza, modificative dell'assetto della società, di fuoriuscire dalla compagine societaria.

Hai un dubbio o un problema su questo argomento?

Scrivi alla nostra redazione giuridica

e ricevi la tua risposta entro 5 giorni a soli 29,90 €

Nel caso si necessiti di allegare documentazione o altro materiale informativo relativo al quesito posto, basterà seguire le indicazioni che verranno fornite via email una volta effettuato il pagamento.

SEI UN AVVOCATO?
AFFIDA A NOI LE TUE RICERCHE!

Sei un professionista e necessiti di una ricerca giuridica su questo articolo? Un cliente ti ha chiesto un parere su questo argomento o devi redigere un atto riguardante la materia?
Inviaci la tua richiesta e ottieni in tempi brevissimi quanto ti serve per lo svolgimento della tua attività professionale!