L'efficacia della cessione di fronte ai terzi. Il debitore ceduto e gli altri terzi. La disciplina del vecchio codice e le insortevi questioni
Si è già accennato agli ulteriori adempimenti che sono necessari per rendere operativa la cessione di fronte al debitore ceduto ed ai terzi, nonché alle intime ragioni che li giustificano. In sostanza, essi consistono nella notizia, più o meno formale, acquisita dal debitore per iniziativa di ha interesse a rendere efficace il distacco del credito dal patrimonio del cedente. Tale efficacia assume un aspetto diverso secondo che la si riferisca al debitore o a tutti gli altri terzi estranei alla cessione. Rispetto al debitore lo scopo non può essere altro che quello di diffidarlo a non pagare più al cedente, ma al cessionario. In linea di massima, dunque, la formalità può esser ridotta al minimo; e dovrebbe bastare qualunque forma di notizia, ed anche la semplice conoscenza effettiva per parte del debitore. Rispetto agli altri terzi, invece, la necessità di una forma più rigorosa si intuisce subito. Chi acquista il credito per cessione deve esser tutelato dalla possibile collusione tra creditore e debitore; i quali, con uno spostamento di date nella notizia, potrebbero favorire un cessionario sopravvenuto e rendere inutile la valida cessione anteriore. Ecco perché la forma deve qui tendere ad assicurare l'autenticità dell'adempimento.
Nel vecchio codice le norme che contemplavano tale adempimento erano due. Quelle dell'art. #1539#, per cui il cessionario «non aveva diritto» verso i «terzi» se non dopo aver fatto al debitore l'intimazione della seguita cessione, ovvero quando il debitore l'avesse accettato con atto «autentico»; e quella dell'art. #1540#, in cui si diceva che il debitore fosse validamente liberato pagando al creditore prima che costui o il cessionario gli notificasse la cessione.
Vane dispute erano sorte sulla interpretazione esatta di tali disposizioni. Quanto alla prima, si discusse se nella indicata categoria di terzi fossero da comprendere anche i creditori pignoranti, oltre che i successivi acquirenti del medesimo credito. E dopo qualche tergiversazione si inclinò verso la soluzione affermativa. Altro dubbio sorse circa la forma che dovesse rivestire la intimazione al debitore. La questione fu risolta nel senso che tale intimazione dovesse farsi per mezzo di ufficiale autorizzato alle notificazioni; e che nessun equipollente fosse
ammissibile, di fronte ai terzi, sia per la intimazione sia per l'accettazione con atto autentico. In ordine al quale sorgevano poi le questioni sulla sua distinzione dall'atto pubblico. Non si dubitava, invece, che nei confronti del solo debitore valesse qualunque equipollente della
notificazione richiesta dall'art. #1540#, e che essa fosse insita nella stessa citazione per il pagamento. Rimaneva, infine, la disputa sulla derivazione della notificazione in ambedue le ipotesi contemplate.
I progetti di riforma e le innovazioni del testo definitivo
Il progetto del 1936, fra le altre minori innovazioni, modificava l'art. #1539#, nel senso che l'accettazione dovesse farsi con atto di data certa, e l’art. #1540#, disponendo che, anche senza la notificazione, il debitore non restasse liberato se il pagamento al cedente avveniva in mala fede dopo aver conosciuto la cessione.
In una prima redazione stampata del progetto ministeriale tra l'altro, si specificava che fra i terzi dovessero comprendersi anche creditori pignoranti o sequestranti; e si prevedeva la alternativa notificazione per lettera raccomandata nei rapporti tra commercianti.
Nel testo definitivo i due articoli in esame separano nettamente le forme necessarie e sufficienti di fronte al debitore ceduto da quelle di fronte ai terzi.
Quanto alle prime, viene implicitamente ma chiaramente ribadito, nel primo comma dell'art. 1264, che la notificazione o l'accettazione, al fine precipuo di fissare il diverso soggetto al quale ormai il debitore debba pagare per liberarsi, sono svincolate da ogni formalità. Certo, le più rigorose forme dell'articolo successivo (notificazione ed accettazione di data certa) varranno a garantire maggiormente il cessionario ed a dispensarlo dalla prova di una effettiva cognizione; ma, in difetto, basterà qualunque specie di notificazione od accettazione, purché risulti che il relativo atto abbia raggiunto l'effetto della cognizione. Tale cognizione, anzi, prima ancora di ogni iniziativa degli interessati o legittimati (e si vedrà di qui a poco chi essi sono), purché sia sicura e precisa, obbliga il debitore a non più pagare al cedente, sotto pena di dover pagare nuovamente al cessionario (comma 2°). Questa nuova norma è derivata, come si accennava, dall'art. 264 comma 2°, del progetto 1936, nel quale, però la responsabilità del debitore sembrava contenuta in più rigorosi confini, poiché si parlava del pagamento fatto «in mala fede» da parte del debitore consapevole della cessione. Il mutamento della formula non deve far pensare che sia mutato radicalmente il concetto. Se la conoscenza del debitore era sicura, precisa, di una cessione perfetta, incondizionata e non risoluta, allora la mala fede del debitore sarebbe in re ipsa. Ma una qualsiasi ragionevole credenza contraria del debitore stesso varrebbe ad escludere la sua responsabilità, dacché di fronte all'omissione imputabile del cessionario ed alla negativa implicita del creditore che domanda e riceve il pagamento, l'obbligato non è in dovere di risolvere lui la eventuale situazione incerta (contestata sussistenza o definitività della cessione) ed andare incontro alle sanzioni dell'inadempimento. Pertanto, anche alla stregua della più ampliata formula del testo definitivo, il cessionario (negligente) deve provare tale «conoscenza» per parte del debitore, idonea a da far presumere la sua mala fede o collusione con il cedente.
La alternativa derivazione degli adempimenti notificativi e i doveri di controllo per parte del debitore
Giova poi notare che la norma in parola (come quella corrispondente del vecchio codice) tende esclusivamente a precisare il momento dal quale il debitore ha l'obbligo di riconoscere come operativa la cessione nei propri confronti. Ma non parla del presupposto ovvio che una cessione vera e valida ci sia, a prescindere dalla pura e semplice notificazione; e non spiega, in conseguenza, se e quale controllo sia tenuto a fare il debitore notificato prima di pagare al nuovo creditore. Per quanto il nuovo testo non riproduca la alternativa derivazione della notifica (cedente o cessionario) che si leggeva espressa nell'art. #1540#, è ovvio che essa sia egualmente efficace, poiché il silenzio della nuova norma non autorizza a far distinzioni, per giunta arbitrarie ed irrazionali; così come non lo autorizzava il silenzio del vecchio art. #1539#, in cui la derivazione non aveva ragione di essere diversa e più ristretta. Ed allora, agli effetti della questione suaccennata, bisogna concludere che la notificazione proveniente dal cedente o la accettazione fatta in suo confronto sono quelle che non soltanto obbligano il debitore a pagare al cessionario, ma lo autorizzano a farlo senza alcun controllo e responsabilità. E’ ovvio, infatti, che l'attività positiva del cedente costituisce la più autentica affermazione tacita che la cessione esiste in tutta la sua efficienza. Non altrettanto può dirsi se la notificazione proviene esclusivamente dal cessionario. Che essa valga alternativamente a diffidare il debitore a non pagare più al cedente risulta dalla illimitata formula del testo e dalle ragioni che si sono già accennate. Ma non altrettanto può dirsi quanto ai doveri di controllo che gravano in tale ipotesi sul debitore stesso. La cessione può essere arbitrariamente o falsamente affermata dall'interessato o sedicente cessionario; e perciò il debitore ha il dovere di accertarsi, prima di pagare, se la intimazione ha come presupposto un effettivo ed efficace atto di cessione. Qui non può ricorrersi che alle norme della comune diligenza onde assodare se in caso di una falsa apparenza ricorrono le condizioni oggettive (circostanze univoche) e soggettive (buona fede, per applicare la norma eccezionale e nuova dell'art. 1189 (pagamento al creditore apparente). Grave, in verità, sarebbe il contegno del debitore che corresse a pagare al sedicente cessionario senza interpellare i1 proprio originario creditore: specialmente se il debito non era scaduto e costui non aveva ragioni per sollecitare il pagamento. Ma, a prescindere da ciò, la apparenza, cui allude la norma citata, dell'art. 1189, deve fondarsi su circostanze obiettive oltre che univoche, e deve essere presidiata da una posizione soggettiva, di buona fede che da esse soprattutto deve trarre la fonte diretta. Il possesso del documento originale, presso il falso cessionario, ad esempio, potrebbe concorrere a creare quella apparenza giuridica perché la cosa oltre che giustificare la credenza del debitore sarebbe sempre in qualche modo imputabile al creditore, e perché l'apparenza efficiente, per tranquillità universale, non può risiedere che in un fatto risalente, se non imputabile, a colui che ne risente il pregiudizio. Certo è che la questione assume una eccezionale gravità in linea generica; e qui ancor più per la normale possibilità che ha il debitore di sventare il falso eventuale con una semplice quanto doverosa avvertenza all'ignaro creditore originario.
Il rigore della forma di fronte ai terzi acquirenti. La data certa sostituita all’atto autentico
La intitolazione dell'art. 1265 è più ampia del suo effettivo contenuto; il quale si riferisce soltanto ai terzi che hanno acquistato dallo stesso creditore la titolarità integrale del credito per cessione o un diritto di pegno o di usufrutto. Tra più acquirenti dello stesso inconciliabile diritto prevale quello che, a prescindere dalla data di stipulazione, abbia a suo favore una anteriore notificazione al debitore per atto di ufficiale giudiziario ovvero una anteriore accettazione di costui con data certa. Qui, come era anche opinione consolidata sotto il vecchio codice non valgono gli equipollenti. Le indicate formalità sono essenziali per costituire la situazione di preminenza tra i vari acquirenti del medesimo autore, a prescindere dall'effettivo e contingente stato di conoscenza. Accade, pertanto, come per la trascrizione immobiliare, ove la non formale conoscenza dei terzi non influisce normalmente e direttamente sulla loro rispettiva situazione di grado. Ed anche in questo campo, per analogia delle situazioni e per significato stesso della formulazione ipotetica con cui la disposizione si inizia, è applicabile la regola della continuità degli adempimenti? Come la trascrizione deve essere fatta negli interstizi fino a giungere al medesimo autore, così le notificazioni delle successive cessioni devono attingere la identica continuità fino al primo cedente, altrimenti, non si avrebbe più la possibilità del controllo, come non si avrebbe quella della consultazione per i registri immobiliari.
Anche per l'effetto contemplato nell'art. 1265 la provenienza della intimazione o la accettazione possono essere adempiute alternativamente e con identico risultato, da o col cedente, ovvero da o con il cessionario. Nemmeno qui il testo della norma fa distinzioni, peraltro inammissibili, dato lo scopo della norma che è quello di offrire ai terzi un più o meno efficace controllo con l'atto presso il debitore da chiunque dei due esso provenga. Di regola, sarà i1 cessionario interessato ad essere più sollecito od esigente. Ma se lo fa il cedente, tanto meglio.
Alla necessità dell'atto autentico prevista dal vecchio art. #1539#, il nuovo codice, mantenendo una innovazione del prog. 1936 (art. 263 comma I°), sostituisce quello dell'atto con data certa. E’ la certezza della data, infatti, quella che occorre e basta per l'utile controllo di quella priorità; mentre l'autenticità della accettazione potrà più o meno esser provata a suo tempo senza che sia necessario l'atto formale autentico secondo la nuova definizione contenuta nell'art. 2703 del codice.
La implicita soluzione negativa per i terzi creditori pignoranti
Come si è accennato, la categoria di terzi cui si riferiscono le forme e gli effetti dell'art. 1265 è soltanto quella degli acquirenti dal medesimo autore. Sorge ora più grave il dubbio per gli altri terzi, creditori pignoranti o sequestranti, già inclusi espressamente nell'anteriore schema di progetto ministeriale e per i quali parte della dottrina e la più recente giurisprudenza avevano accolto la soluzione affermativa. Certo è che quella sintomatica eliminazione del testo definitivo è la più ristretta formulazione dell'art. 1265 costituiscono un assai grave ostacolo contro la più larga interpretazione. Questa poteva in qualche modo giustificarsi con la formula illimitata degli articoli #1539# vecchio codice e 263 del prog. 1936, in cui si diceva che il cessionario «non acquistasse il diritto di fronte ai terzi», ma non più di fronte al testo dell'art. 1265 che è ristretto ai soli acquirenti e che parla di efficacia e non di acquisto del diritto. D'altronde, i terzi creditori pignoranti, che avevano corso la fiducia del loro debitore, sono in una situazione ben diversa di chi sborsa il prezzo della cessione, o, a qualsiasi altro titolo si rende cessionario. Essi arrivano con il pignoramento o peggio con il sequestro, quando il rapporto di cessione è giù perfetto fra cedente e cessionario. L'improvviso atto di esecuzione toglie a quest'ultimo persino la possibilità di adempiere in tempo alle formalità richieste dalla legge a quei determinati e diversi scopi; mentre i creditori possono agire utilmente sul resto del patrimonio contro il loro debitore. Se non lo potessero, e non ricorressero gli estremi di una eventuale revocatoria contro la cessione dovrebbero imputare a sè stessi di aver voluto correre la piena fiducia del debitore.