La remissione tacita e la restituzione del titolo originale. Le questioni sotto il vecchio codice e le soluzioni del nuovo
Il primo comma è la riproduzione quasi identica del vecchio art. #1279# e contempla uno dei casi più frequenti ed emergenti di remissione tacita; desunta, cioè, come per tutte le rinunzie, da un comportamento del titolare assolutamente incompatibile con la volontà di conservare ed esercitare il diritto. La restituzione volontaria al debitore del documento originale che comprova l'obbligazione, costituisce una presunzione legale assoluta della volontà remissoria. Quando ne sia dimostrato il presupposto, cioè la volontarietà della restituzione, nessuna prova contraria varrebbe a scuotere quella presunzione. Un'assoluta incompatibilità, in questa ipotesi, non sarebbe stata possibile derivare dai principi del negozio tacito; dacchè, essendo il documento sola prova e non la veste formale del debito (come accade, ad es., con la cambiale), la restituzione, in mancanza della norma espressa, avrebbe potuto costituire, al più, una presunzione semplice suscettibile di prova contraria. La legge, dunque, fondandosi per antica tradizione sul quod plerumque accidit, non esita a consacrare l'assolutezza della presunzione. Tanto nel codice abrogato (art. #1279#) quanto nel progetto del 1936 (art. 209), si parlava di titolo originale «sotto forma privata». La inclusione implicita ed ovvia di tale qualificazione risulta egualmente chiara dal fatto che l'originale dell'atto in forma pubblica non può trovarsi in possesso del creditore, tanto che il secondo comma contempla una presunzione non più assoluta per la restituzione della copia esecutiva dell'atto pubblico. Dispone, infatti, tale secondo comma che contro la presunzione derivante dalla restituzione di detta copia, è ammessa la prova contraria. Il che ribadisce la piena invincibilità della presunzione contemplata nel primo comma.
Conviene ora accennare alle questioni che sorsero sull'interpretazione del vecchio art. #1279# e che si riflettono anche su quelle dell'articolo in esame. Deve trattarsi, in primo luogo, del titolo originale, cioè di quello che costituisce la prova originaria ed esclusiva del credito. Onde non basterebbe la restituzione del titolo ricognitivo ove questo non abbia assunto la funzione del titolo originario. E neppure basterebbe la restituzione di un solo originale quando ne esistano più di uno ed il creditore conservi gli altri.
L'altro requisito della volontà della restituzione ha dato luogo a molte discussioni. Da alcuni tale qualificazione venne considerata come pleonastica, in quanto la volontarietà sarebbe insita nella stessa restituzione. Altri, invece, ha preteso addirittura che con quel requisito volesse alludersi alla volontà di rimettere il debito. L'opinione più accettabile è che debba trattarsi di una restituzione non soltanto immune dai comuni vizi della volontà (errore, dolo, violenza), ma diretta al definitivo trasferimento del titolo in guisa da dismetterlo senza surrogati.
E’ da ripudiare, invece, l'opinione di qualche autore il quale sostiene che trattasi addirittura di una presunzione di pagamento. Certo, nella pratica avviene di frequente che all'atto del pagamento si restituisca il chirografo invece di sottoscrivere una formale quietanza con i relativi aggravi fiscali. Ma non è questo il presupposto della legge. A parte la collocazione della norma in sede di remissione e non in sede di pagamento, la disposizione è troppo chiara perché una simile interpretazione trovi lo spiraglio dell'entrata. Il debitore convenuto esaurisce la sua eccezione perentoria con la semplice presentazione del documento in suo possesso; quale possesso fa presumere la restituzione. Incomberà, pertanto al creditore di provare che la restituzione non vi fu o non fu volontaria (sottrazione; restituzione provvisoria, per favore, per deposito; sostituzione con altro documento rinnovato etc.). Se tale prova non è raggiunta, il creditore soccombe proprio perché la legge presume la remissione.
Ben altra questione è quella di vedere se, tenuta sempre ferma la presunzione liberatoria, l'una o l'altra delle parti conservi però il diritto di provare che la restituzione fu fatta a titolo di pagamento e non a titolo di remissione. Qui la soluzione può essere affermativa perché la legge non tiene che a stabilire la liberazione presumibilmente remissoria. Il creditore, come deve e quindi può dimostrare un titolo diverso dalla restituzione, potrà anche (o lui o i suoi creditori in sede fallimentare), provare che la vera ed effettiva causa interna risalga al pagamento. E ciò al fine di non far cadere l'atto sotto le rigorose sanzioni revocatorie dei negozi a titolo gratuito. D'altro canto, il debitore, in sede di collazione o riduzione ereditaria, può avere l'interesse, e quindi il diritto, di provare che si tratta di un pagamento e non di una liberalità conferibile o riducibile.
La restituzione della copia esecutiva
Il secondo comma, nuovo, dell'articolo, contiene un'opportuna e significativa variante al corrispondente art. 209 del progetto 1936, ove era detto che la restituzione della copia esecutiva faceva presumere la rimessione oil pagamento, salva la prova contraria. Non era in verità giustificata questa alternatività di presunzioni di fronte alla situazione analoga del primo comma. Il nuovo codice, pur mantenendo nel secondo comma quella relatività della presunzione, la adegua giustamente alla ipotesi del primo comma. Si tratta quindi di una presunzione di liberazione, contro la quale il creditore potrà offrire la prova al di là dei limiti ristretti entro i quali è consentita nell'ipotesi del primo comma.
La remissione tacita ed espressa nei riguardi dei condebitori solidali
L'ultimo inciso dello stesso primo comma, in cui si dice che la restituzione costituisce prova della liberazione anche rispetto ai condebitori in solido, offre lo spunto per illustrare gli effetti della remissione.
A differenza del pactum de non petendo romano, cui la moderna remissione si suole avvicinare, gli effetti estintivi si verificano qui ipso iure, non appena il negozio remissorio si è perfezionato. A proposito, invece, della estensione soggettiva degli effetti liberatori, per il caso di più debitori, si suole ripetere la distinzione giustinianea fra pactum d. n. p. in rem, che estingueva oggettivamente l’obbligazione liberando tutti i coobbligati principali e di garanzia e p. in personam che limitava gli effetti al soggetto destinatario. Evidentemente nel nostro diritto quella estensione soggettiva si risolve in una questione di fatto da risolversi identificando la volontà del remittente. Ma il codice anche in questo settore pone delle norme direttive che, in qualche caso, aprono la via all'interpretazione presuntiva, in qualche altro ostacolano la libertà negoziale in fatto di liberazione.
Una prima regola cogente sulla estensione soggettiva automatica ed inevitabile si riscontra già nella cennata presunzione assoluta derivante dalla volontaria restituzione del titolo ad uno dei condebitori in solido (art. 1237 1° comma). Essa era enunciata con formula meno sintetica nell'art. #1279# del codice abrogato. Nel progetto del 1936 l'inciso non si leggeva più nei corrispondenti articoli 20 9 e 210; ma la norma identica si trovava inserita nella sezione delle obbligazioni solidali insieme con quella sulla rimessione espressa in favore del condebitore solidale (ex art. #1281#). Nel nuovo codice la norma è inserita per inciso nel primo comma dell'articolo in esame mentre quella del vecchio articolo #1281# è trasferita e trasfusa nell'art. 1301, con l'aggiunta di un comma per la solidarietà attiva.
Dunque, per presunzione di legge, la restituzione del titolo ad uno dei condebitori in solido è prova della liberazione anche degli altri; i quali si trovano nella identica situazione del consegnatario e godono della identica presunzione assoluta. Qui il creditore non avrebbe modo di provare una contraria volontà perché essa è già smentita dal fatto puro e semplice della restituzione. Nella ipotesi del secondo comma, invece, la prova contraria è ammissibile; ma non già per quel che riguarda la estensione agli altri debitori, sebbene contro la liberazione di colui al quale la restituzione fu fatta. Ed è codesta prova che si riflette sulla presunzione estensiva tagliandola dalla radice.
Della remissione espressa in favore del condebitore solidale non è più questo il luogo di discutere, poiché le relative presunzioni e limitazioni sono ora contenute nell'art. 1301, al cui commento è d'uopo rimandare. Basti qui soltanto l'anticipato accenno che vi è contemplata una presunzione assoluta di liberazione estensibile a tutti, se il creditore non si è espressamente (e quindi contestualmente) riservato i propri diritti contro gli altri condebitori. In tal caso, però, egli deve computare a favore di costoro la porzione del condebitore liberato.