Cass. civ. n. 13000/2019
In ipotesi di nascita attraverso il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita, l'art. 8 della L. n. 40 del 2004, sullo status del nato con le tecniche in questione, si applica, a prescindere dalla presunzione contenuta all'art. 234 c.c., pure alla fattispecie di fecondazione omologa post mortem avvenuta utilizzando il seme crioconservato del padre, deceduto prima della formazione dell'embrione, ma che in vita aveva prestato, congiuntamente alla moglie ovvero alla convivente, il consenso, non successivamente revocato, all'accesso a tali tecniche, e quindi autorizzato la moglie, o la convivente, al detto utilizzo a seguito della propria morte. Ciò consente l'assoluta parificazione, ai figli legittimi, di quelli nati a seguito dell'applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, abbracciando finanche le peculiari fattispecie ove la nascita avviene a seguito della morte del padre, quindi utilizzando il seme crioconservato di quest'ultimo.
Cass. civ. n. 2603/1986
Ai sensi del novellato art. 234 in correlazione al precedente art. 232 c.c. nell'ipotesi di figlio nato dopo i trecento giorni dall'annullamento, dallo scioglimento o dalla cessazione degli effetti civili del matrimonio, ovvero ancora dall'autorizzazione data ai coniugi di vivere separati, si presume l'illegittimità del figlio medesimo, con la conseguenza che, ai fini dell'onere della prova, nell'azione di disconoscimento della paternità, non spetta al marito provare (oltre la separazione) la mancanza assoluta di rapporti intimi, sibbene alla moglie, che si oppone al disconoscimento, dimostrare che vi è stata riunione temporanea, con possibilità di incontri intimi e quindi della copula fecondatrice.
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Le norme di diritto transitorio dell'art. 229 della L. 19 maggio 1985, n. 151, secondo cui le disposizioni sul disconoscimento di paternità si applicano anche ai figli nati prima dell'entrata in vigore della legge medesima, comporta che, fermo restando lo status di figlio legittimo acquistato alla stregua del diritto previgente, gli strumenti atti a rimuovere detto status e i requisiti sostanziali per operarne la rimozione non sono quelli del tempo in cui l'azione è stata proposta, sibbene quelli del tempo della decisione. Conseguentemente la fattispecie del figlio nato dopo decorsi trecento giorni dall'autorizzazione presidenziale ai coniugi di vivere separatamente — che non dispensava il presunto padre dall'onere di provare la fisica impossibilità di coabitazione con la moglie all'epoca del concepimento secondo la vecchia legge, mentre, secondo la disciplina vigente, costituisce addirittura un caso di esclusione della presunzione di concepimento durante il matrimonio — per effetto della norma transitoria dell'art. 229 citato, può essere considerata come un'ipotesi di disconoscimento della legittimità del rapporto di filiazione per mancata coabitazione dei coniugi (art. 235, n. 1, c.c.), con un rovesciamento dell'onere della prova alla stregua della disciplina dettata dal nuovo testo dell'art. 234 c.c.
Cass. civ. n. 3541/1985
Qualora l'azione per il disconoscimento della paternità venga proposta nei confronti del bambino nato dopo il decorso di più di trecento giorni dalla data di comparizione dei genitori davanti al giudice, adito per la separazione personale, quando gli stessi siano stati autorizzati a vivere separatamente nelle more del giudizio, spetta alla madre di fornire la prova della paternità, mediante la dimostrazione di coabitazione o comunque di rapporti con il marito nel periodo corrispondente al concepimento, essendone venuta meno la presunzione (artt. 232 e 234, nuovo testo, c.c.). Ne deriva che la totale carenza di tale prova giustifica di per sé l'accoglimento di detta domanda, senza che si renda necessario il ricorso ad indagini di tipo ematologico (non idonee a fornire la certezza «in positivo» del rapporto di filiazione, e rilevanti quindi solo in presenza di altri elementi di convincimento).