AUTORE:
Francesco Focardi
ANNO ACCADEMICO: 2021
TIPOLOGIA: Tesi di Laurea Magistrale
ATENEO: Universitą Commerciale Luigi Bocconi di Milano
FACOLTÀ: Giurisprudenza
ABSTRACT
La pena detentiva costituisce, nell’attuale impianto sanzionatorio, una pressoché monolitica risposta ad ogni ramificazione del fenomeno criminale. La presente tesi ambisce ad offrire una prospettiva fortemente critica su tale modalità punitiva, evidenziandone le aporie e contestandone la generalizzata applicazione non in quanto isolata anomalia in un’infrastruttura sociale complessivamente accettabile quanto, piuttosto, vedendo in essa la massima espressione di un intero apparato socio-economico di inclusione dalle fondamenta imprescindibilmente poggiate su una, più o meno ampia, area di emarginazione sociale.
Nel primo capitolo sarà effettuata un’analisi relativa all’evoluzione della penalità occidentale in rapporto al crescente ruolo ricoperto dalla pena detentiva: ad una disamina teorica delle dottrine di giustificazione della pena saranno accostati, in una prospettiva di studio storica e politico-economica, alcuni scorci concreti sugli scenari punitivi in tal modo legittimati. Sarà dunque inquadrata la problematica questione della strutturale divergenza tra le finalità addotte per giustificare la pena in sede teorica e il contraddittorio asservimento di essa a dinamiche di conservazione dell’assetto socio-economico di volta in volta vigente; sconfessando, conseguentemente, l’inadeguatezza di un approccio esclusivamente teorico nell’interpretazione della fenomenologia punitiva. Nel secondo capitolo, partendo da una sintetica disamina delle alterne vicende affrontate dall’orientamento costituzionale della pena verso la risocializzazione del condannato, sarà operata una ricostruzione del controproducente collasso del diritto penale italiano verso una dinamica legislativa impulsiva prima che razionale, riflessa su una politica criminale bulimica e contraddittoria costantemente oscillante tra istanze di inasprimento da una parte, e la continua estensione di una sempre più ampia area di ineffettività della pena dall’altra. Sarà dunque criticato un sistema penale ormai preda di “scorribande legislative” perverse e contraddittorie, frequenti a tal punto da essere divenute criterio di sistema; e, nello specifico, comportanti l’enfatizzazione all’estremo della selettività di un apparato punitivo socialmente iniquo e profondamente marginalizzante.
Negli ultimi due capitoli sarà, infine, proposta una disamina della pena detentiva in quanto massima espressione di tale disfunzionale infrastruttura complessiva. Sarà dunque evidenziato come il carcere si mostri, innanzi alle proprie aporie, nudo ed indifendibile: risultando, in ultima analisi, in strutturale contrasto con l’impalcatura costituzionale della “pena risocializzante”. Nella pena detentiva confluiscono e si amplificano i vizi di un sistema socio-economico incapace di prescindere dall’individuazione prima, e dall’esclusione poi di un’area di emarginazione dal perimetro variabile in quanto connesso, in concreto, al grado di repressività della politica punitiva prima che all’effettiva entità del fenomeno criminale. Nella ricerca delle vie da percorrere verso un’elevazione del grado di civiltà giuridica di un apparato penale ad oggi profondamente inefficiente, contraddittorio, finanche criminogeno, non risulta auspicabile limitarsi ad evidenziare le aporie del carcere anche, eventualmente, prospettandone l’integrale sostituzione con sanzioni minormente afflittive: occorre, piuttosto, acquisire consapevolezza dell’entità sommersa sulla quale poggia tale extrema ratio generalizzata, nient’altro che la punta di un iceberg estremamente massiccio. Nel carcere si condensa la manifestazione più visibile, nella sua crudezza, di un intero assetto socio-economico incapace di prescindere dall’emarginazione di una minoranza criminalizzata: e la matrice del compulsivo ricorso a tale dinamica di esclusione, sintomo della collettiva incapacità di adottare metodologie di risoluzione dei conflitti sociali ed individuali alternative alla mera repressione è, prima ancora che politica, culturale.
Nel primo capitolo sarà effettuata un’analisi relativa all’evoluzione della penalità occidentale in rapporto al crescente ruolo ricoperto dalla pena detentiva: ad una disamina teorica delle dottrine di giustificazione della pena saranno accostati, in una prospettiva di studio storica e politico-economica, alcuni scorci concreti sugli scenari punitivi in tal modo legittimati. Sarà dunque inquadrata la problematica questione della strutturale divergenza tra le finalità addotte per giustificare la pena in sede teorica e il contraddittorio asservimento di essa a dinamiche di conservazione dell’assetto socio-economico di volta in volta vigente; sconfessando, conseguentemente, l’inadeguatezza di un approccio esclusivamente teorico nell’interpretazione della fenomenologia punitiva. Nel secondo capitolo, partendo da una sintetica disamina delle alterne vicende affrontate dall’orientamento costituzionale della pena verso la risocializzazione del condannato, sarà operata una ricostruzione del controproducente collasso del diritto penale italiano verso una dinamica legislativa impulsiva prima che razionale, riflessa su una politica criminale bulimica e contraddittoria costantemente oscillante tra istanze di inasprimento da una parte, e la continua estensione di una sempre più ampia area di ineffettività della pena dall’altra. Sarà dunque criticato un sistema penale ormai preda di “scorribande legislative” perverse e contraddittorie, frequenti a tal punto da essere divenute criterio di sistema; e, nello specifico, comportanti l’enfatizzazione all’estremo della selettività di un apparato punitivo socialmente iniquo e profondamente marginalizzante.
Negli ultimi due capitoli sarà, infine, proposta una disamina della pena detentiva in quanto massima espressione di tale disfunzionale infrastruttura complessiva. Sarà dunque evidenziato come il carcere si mostri, innanzi alle proprie aporie, nudo ed indifendibile: risultando, in ultima analisi, in strutturale contrasto con l’impalcatura costituzionale della “pena risocializzante”. Nella pena detentiva confluiscono e si amplificano i vizi di un sistema socio-economico incapace di prescindere dall’individuazione prima, e dall’esclusione poi di un’area di emarginazione dal perimetro variabile in quanto connesso, in concreto, al grado di repressività della politica punitiva prima che all’effettiva entità del fenomeno criminale. Nella ricerca delle vie da percorrere verso un’elevazione del grado di civiltà giuridica di un apparato penale ad oggi profondamente inefficiente, contraddittorio, finanche criminogeno, non risulta auspicabile limitarsi ad evidenziare le aporie del carcere anche, eventualmente, prospettandone l’integrale sostituzione con sanzioni minormente afflittive: occorre, piuttosto, acquisire consapevolezza dell’entità sommersa sulla quale poggia tale extrema ratio generalizzata, nient’altro che la punta di un iceberg estremamente massiccio. Nel carcere si condensa la manifestazione più visibile, nella sua crudezza, di un intero assetto socio-economico incapace di prescindere dall’emarginazione di una minoranza criminalizzata: e la matrice del compulsivo ricorso a tale dinamica di esclusione, sintomo della collettiva incapacità di adottare metodologie di risoluzione dei conflitti sociali ed individuali alternative alla mera repressione è, prima ancora che politica, culturale.