AUTORE:
Valentina Pitti
ANNO ACCADEMICO: 2008
TIPOLOGIA: Tesi di Laurea Magistrale
ATENEO: Universitą degli Studi di Firenze
FACOLTÀ: Giurisprudenza
ABSTRACT
L’argomento è la repressione dell’omicidio nel diritto di Atene, la principale polis della Grecia, durante il periodo classico, V-IV secolo a.C. Inevitabile, poi, mi è sembrato un accenno ad altri periodi, un confronto con il diritto delle altre città-stato, di cui abbiamo notizia e con il diritto romano, frutto di un altro grande popolo dell’antichità. Dopo un breve excursus sulle procedure giudiziarie, con esplicito riferimento a quelle penali, ho analizzato l’età arcaica, che ci è testimoniata dai poemi omerici, che riflettono soprattutto la società dei secoli X e XI a.C. Poi segue la legislazione di Draconte, ripresa da Solone e quella dell’età classica. Caratteristico delle procedure è che nell’Atene classica la giustizia si fonda sui tribunali popolari, composti da cittadini estratti a sorte, i quali non hanno alcuna competenza di diritto. L’assenza di professionalità caratterizza anche le parti, che non sono rappresentate da avvocati, ma devono pronunciare personalmente le arringhe. Le cause criminali erano sostenute di fronte a tribunali diversi a seconda del tipo di reato; ma tutte si svolgevano all’aperto per evitare che l’impurità dell’accusato contagiasse i giudici e l’accusatore. Un aspetto peculiare è l’assenza della procedura d’ufficio; anche di fronte ad un reato grave, come l’omicidio, lo stato non interveniva senza l’accusa di un cittadino. Inoltre, il diritto attico era caratterizzato dal principio iura non novit curia; infatti, era di competenza delle parti anche la citazione delle norme. Nel mondo omerico, la repressione dell’omicidio era affidata ai membri del gruppo del morto, che si vendicavano sull’assassino, che poteva evitare la vendetta in due modi: andando in esilio volontario o pagando al gruppo una somma di denaro o una quantità di beni, detta poinè. Mentre l’esilio era un rimedio puramente di fatto, il pagamento era un rimedio giuridico: anche se il gruppo non poteva essere costretto ad accettarla, se lo avesse fatto non poteva più esercitare la vendetta, altrimenti compiva un atto riprovato, che legittimava una nuova vendetta. La comunità interveniva soltanto se sorgevano dubbi sul fatto del pagamento, attraverso un’attività ricognitiva (Iliade, XVIII, vv. 497-508). Con le leggi di Draconte (ultimi decenni del VII secolo a.C.), l’omicidio era considerato un reato nel senso moderno del termine, punito con una pena prevista dalla legge, che poteva essere applicata solo in seguito ad una pronuncia di colpevolezza, emessa da uno dei tribunali di nuova creazione, istituzionalmente competenti in materia. Il testo, già in parte conosciuto attraverso le orazioni, oggi è noto in via diretta grazie al ritrovamento di una stele di marmo, sulla quale è scritta la parte della legge dedicata all’omicidio involontario. Nel caso di un omicidio volontario la pena era la morte, mentre nel caso di un omicidio involontario la pena era l’esilio, che l’assassino poteva evitare, se riusciva ad ottenere il perdono da una serie di persone, elencate dalla legge. Questo fu un momento importante per la storia del diritto, in quanto si iniziò a distinguere l’atto volontario da quello involontario. Inoltre, lo stato da controllore dell’uso della forza esercitato dalle parti lese, è diventato l’unico titolare del diritto di usare la forza. L’analisi continua con l’esame della volontarietà nei periodi successivi attraverso le opere dei presofisti, di Platone e di Aristotele. La speculazione filosofica ebbe un ruolo fondamentale nell’evoluzione del diritto greco, in quanto unica sede di riflessione sul dato giuridico. I limiti del volontario erano più ristretti di quelli di oggi: solo ciò che era stato voluto con la ragione era considerato volontario. Ciò che era stato voluto solo d’impeto, in un momento di particolare ira o emozione, era considerato involontario. A causa della scarsezza di fonti dirette e della mancanza di opere della giurisprudenza, ho proseguito con lo studio delle orazioni giudiziarie, opere preziose per lo studio del diritto greco, nonostante il difetto di esprimere solo il punto di vista della parte cui tendono ad assicurare la vittoria. Particolare attenzione ho posto sull’analisi di quell’orazione che ho già citato, cha mi ha condotto ad analizzare l’omicidio legittimo, con particolare riferimento all’ipotesi dell’uccisione dell’adultero in flagranza di reato. Questa ipotesi probabilmente fu trasportata nel mondo romano. L’analisi degli altri ordinamenti della Grecia ha riguardato Sparta, Creta e le colonie della Magna Grecia. Da ultimo ho preso in considerazione l’omicidio per causa d’onore, che fino a pochi anni fa faceva parte del nostro diritto vigente. Esso affonda le sue radici nel mondo romano e greco. Ma, mentre nell’antichità, escludeva la pena, nel nostro ordinamento comportava una diversa quantificazione rispetto alla pena comminata per il reato di omicidio.