AUTORE:
Sebastiano D'Orlando
ANNO ACCADEMICO: 2020
TIPOLOGIA: Tesi di Laurea Magistrale
ATENEO: Universitą degli Studi di Udine
FACOLTÀ: Giurisprudenza
ABSTRACT
L’applicazione della pena su richiesta delle parti, a distanza di oltre 30 anni dalla sua introduzione, ancora rappresenta uno tra i più controversi e dibattuti istituti del sistema processuale penale italiano, oggetto di clamorose inversioni di rotta, sia legislative che giurisprudenziali, oltre che di una perenne – e a tutt’oggi irrisolta – disputa dottrinale. Com’è noto, la mela della discordia, gettata sul tavolo degli interpreti da un legislatore certamente sedotto dalle consolidate esperienze negoziali d’oltre oceano, è costituita da quesito attorno alla natura della sentenza conclusiva del c.d. “patteggiamento” ex art. 444 del c.p.p.: mero accordo delle parti che il giudice si limita a “rogare” e che nulla dice sulla responsabilità dell’imputato oppure provvedimento comunque espressione del potere giurisdizionale che, in quanto tale, non può prescindere da un accertamento della colpevolezza?
È a tale fondamentale interrogativo che è dedicata l’intera presente trattazione, la quale, dunque, non ha in alcun modo l’ambizione di proporsi al lettore come una enciclopedica esegesi dell’istituto dell’applicazione della pena su richiesta, bensì quello più limitato (ma, come si vedrà, pregno di implicazioni sistematiche) di prendere una chiara posizione attorno alla controversa natura della sentenza di patteggiamento.
Per addivenire a un simile risultato, si è scelto di fondare l’analisi su di una chiara e – apparentemente – semplice domanda, la quale verrà costantemente richiamata in tutti e quattro i capitoli di cui si compone il lavoro: è l’istituto dell’applicazione su richiesta delle parti costituzionalmente legittimo? Nel cercare una risposta, si avrà modo di vedere che è proprio l’ordito costituzionale, in ossequio alla gerarchia delle fonti, a indicare all’interprete una sola possibile via da percorrere, la quale, per vero, dovrebbe essere ben chiara dalla sola lettura del titolo della presente trattazione: si alludeall’indefettibile presenza – all’interno della sentenza applicativa della pena concordata – di un elemento di cognizione, appunto consistente in un accertamento della responsabilità penale dell’imputato, che – ancorché ridotto e semplificato – non può mai mancare, pena l’illegittimità costituzionale dell’istituto.
È a tale fondamentale interrogativo che è dedicata l’intera presente trattazione, la quale, dunque, non ha in alcun modo l’ambizione di proporsi al lettore come una enciclopedica esegesi dell’istituto dell’applicazione della pena su richiesta, bensì quello più limitato (ma, come si vedrà, pregno di implicazioni sistematiche) di prendere una chiara posizione attorno alla controversa natura della sentenza di patteggiamento.
Per addivenire a un simile risultato, si è scelto di fondare l’analisi su di una chiara e – apparentemente – semplice domanda, la quale verrà costantemente richiamata in tutti e quattro i capitoli di cui si compone il lavoro: è l’istituto dell’applicazione su richiesta delle parti costituzionalmente legittimo? Nel cercare una risposta, si avrà modo di vedere che è proprio l’ordito costituzionale, in ossequio alla gerarchia delle fonti, a indicare all’interprete una sola possibile via da percorrere, la quale, per vero, dovrebbe essere ben chiara dalla sola lettura del titolo della presente trattazione: si alludeall’indefettibile presenza – all’interno della sentenza applicativa della pena concordata – di un elemento di cognizione, appunto consistente in un accertamento della responsabilità penale dell’imputato, che – ancorché ridotto e semplificato – non può mai mancare, pena l’illegittimità costituzionale dell’istituto.