Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’Appello, in riforma della sentenza di primo grado, aveva assolto l’imputato dal reato di cui sopra, “perché il fatto non sussiste”.
Il Procuratore Generale, dunque, ricorreva in Cassazione, ritenendo ingiusta la riforma della sentenza di condanna.
Secondo il Procuratore, infatti, l’imputato avrebbe dovuto rispondere del reato di cui sopra “perché, accompagnando in auto abitualmente e dietro compenso (30 euro per volta) due donne sul luogo del loro meretricio, ne favoriva la prostituzione”.
La Corte di Cassazione riteneva di dover aderire alle argomentazioni svolte dal ricorrente.
Osservava la Cassazione come la Corte d’Appello avesse “escluso la sussistenza del reato sul rilievo che l'imputato, a ciò determinato dal suo stato di disoccupazione e per far fronte alle esigenze della famiglia, aveva svolto le funzioni di tassista, seppur abusivo”.
Tale fatto, secondo la Cassazione, non era in contestazione, così come non era in contestazione “la consapevolezza, da parte dell'imputato, dell'attività svolta dalle due donne sistematicamente accompagnate sul luogo ove svolgevano il meretricio”.
Secondo la Corte, dunque, l’assoluzione in secondo grado non si fondava su “una lettura più ampia ed organica dello stesso materiale probatorio, ma su un diverso apprezzamento della rilevanza penale della condotta come già ricostruita in primo grado”.
Tuttavia, quanto alla rilevanza penale della condotta posta in essere dall’imputato, occorreva osservare, secondo la Corte, che “il reato di favoreggiamento della prostituzione consiste in qualsiasi comportamento oggettivamente idoneo a facilitare consapevolmente lo svolgimento dell'attività della prostituta, indipendentemente dal fine di lucro personale dell'agente che può anche mancare”.
Infatti, “il favoreggiamento si qualifica per due elementi: la posizione di terzietà del favoreggiatore nei confronti dei soggetti necessari (prostituta e cliente) e l'attività di intermediazione tra offerta e domanda, volta a realizzare "in qualsiasi modo" le condizioni (o ad assicurarne la permanenza) per la formazione del futuro accordo, il quale deve rientrare nella prospettiva dell'autore del reato”.
In particolare, “quando all'accompagnamento provvede il soggetto estraneo al rapporto cliente-prostituta”, la relativa condotta “integra il delitto di favoreggiamento dell'altrui prostituzione, quando essa rafforzi psicologicamente la determinazione del meretricio (…) o l'accompagnatore svolga anche opera di sorveglianza e ponga l'auto a disposizione della donna per il compimento della sua attività (…), o quando la condotta non sia occasionale ma abituale (….) o, ancora, quando l'accompagnamento costituisca una condotta funzionalmente orientata a migliorare le condizioni organizzative per l'esercizio in concreto della prostituzione con la presenza sul posto a garanzia di violenze e minacce”.
Nel caso di specie, l’imputato risultava essersi accordato con le prostitute “per garantire a queste ultime in modo stabile e continuativo condizioni migliori per l'esercizio della prostituzione e, dunque, in definitiva per rendere più agevole l'attività stessa nella piena consapevolezza dello scopo della prestazione, assicurata dietro corrispettivo”.
Pertanto, secondo la Cassazione, si trattava di “prestazioni onerose rese al di fuori di un'attività lecita precedentemente esercitata dall'accompagnatore, che trovano la loro causa concreta esclusivamente nell'accordo intercorso con le prostitute e che ha ad oggetto proprio le loro migliori condizioni lavorative, nella comune consapevolezza dell'oggettiva agevolazione all'attività da esse svolta”.
Secondo la Corte, quindi, non si trattava “di un aiuto dato alle prostitute in quanto persone, ma alla loro attività”, con la conseguenza che il ricorso doveva essere accolto e la sentenza di assoluzione doveva essere annullata.