Va osservato che la normativa di riferimento è rappresentata, in questo caso, dall’art. 1117 codice civile, il quale elenca una serie di beni che si presumono comuni, anche se l’elencazione non deve considerarsi assolutamente esaustiva.
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 3908 del 19 febbraio 2014 si è trovata proprio a risolvere un caso di questo tipo, fornendo alcune interessanti precisazioni in proposito.
Nel caso all’esame della Corte, due condomini avevano ampliato i propri garages di proprietà esclusiva, andando ad invadere una parte del garage che, a dire degli altri condomini, era di proprietà comune.
Gli altri condomini, quindi, agivano in giudizio, chiedendo che i due condomini che avevano proceduto all’ampliamente, ripristinassero lo stato di fatto sussistente prima dell’ampliamento stesso, che doveva ritenersi illegittimo.
I convenuti in giudizio si difendevano osservando come i condomini che avevano agito in giudizio avevano comprato i garage nello stato stesso in cui si trovavano al momento della vendita, quando già era stato effettuato l’ampliamento.
La domanda, tuttavia, veniva rigettata in primo grado, mentre, in secondo grado, veniva accolta dalla Corte d’appello, che la riteneva fondata, in quanto i condomini avrebbero invaso un’area che “avrebbe dovuto essere destinata a corsia di accesso ai garages”, di proprietà comune di tutti i condomini.
Giunti al terzo grado di giudizio, la Corte di Cassazione precisa come il giudice “al fine di stabilire se sussistesse o meno la presunzione di condominialità di cui all’art. 1117 c.c., avrebbe dovuto tener conto della effettiva e concreta destinazione funzionale ad uso collettivo degli spazi in questione, in un contesto nel quale il condominio risultasse già costituito (…), ed accertare se, a quell’epoca, l’assetto complessivo dell’edificio fosse tale da far ritenere che tali aree (ove non comprese nelle alienazioni) fossero di fatto connotate da obiettiva e funzionale destinazione ad un uso collettivo; in caso positivo gli spazi avrebbero dovuto presumersi comuni ai sensi della disposizione sopra citata, in caso negativo sarebbero rimasti in proprietà del costruttore, che avrebbe potuto successivamente liberamente disporne”.
Invece, secondo la Cassazione, la Corte d’Appello non avrebbe agito correttamente, in quanto la stessa si sarebbe “limitata a valorizzare una destinazione collettiva rimasta 'sulla carta', ma in concreto disattesa nella costruzione dell’edificio”. Inoltre, secondo la Corte, è irrilevante “la circostanza che nei titoli di acquisto dei convenuti (comprensivi dei box così come di fatto già realizzati), gli spazi in questione non fossero espressamente previsti, non potendo tale sola omissione lasciar presumere la condominialità degli stessi (che, al più, ove eccedenti rispetto al trasferito, sarebbero ancora rimasti in proprietà del costruttore – venditore)”.
In sostanza, secondo la Corte, l’area utilizzata per l’ampliamento dei garages non poteva dirsi “area condominiale”, nonostante fosse destinato all’uso collettivo.
Infatti, anche laddove i contratti di acquisto dei garages non avessero compresa l’area stessa, la stessa non sarebbe comunque entrata in proprietà esclusiva, ma sarebbe restata in proprietà del costruttore – venditore dei garages stessi.