Nel caso esaminato dal TAR, il Comune di Milano aveva ordinato, con un proprio provvedimento, al condominio in questione, “di adeguare il sistema di smaltimento rifiuti a quanto disposto dalle norme del regolamento edilizio e del regolamento di igiene”.
In particolare, tale provvedimento si era reso necessario, in quanto, dagli accertamenti effettuati dall’ASL di Milano, era risultato come la raccolta dei rifiuti non venisse effettuata in maniera corretta da parte del condominio, in quanto “effettuata all’aperto ad una distanza di soli tre metri dalle finestre delle abitazioni, sotto una tettoia, utilizzando alcuni trespoli muniti di sacchi neri, alcuni dei quali, però, erano depositati direttamente a terra”.
Le successive verifiche effettuate, peraltro, avevano evidenziato come il Comune non avesse ancora provveduto ad adeguare le modalità di raccolta dei rifiuti, dal momento che “il condominio non si era ancora dotato di un locale per la raccolta dei rifiuti, che restavano collocati nell’area sita presso i box, con le modalità appena indicate” e che i bidoni per la raccolta differenziata continuavano ad essere collocati a meno di dieci metri dalle finestre.
Il condominio provvedeva ad impugnare il provvedimento comunale dinanzi al TAR, evidenziando come le normative citate dall’amministrazione comunali non fossero applicabili al caso di specie, dal momento che “le norme del regolamento edilizio invocate, le quali impongono che ogni edificio debba essere dotato di apposito locale per la raccolta dei rifiuti, si applicherebbero esclusivamente agi edifici di nuova realizzazione, ovvero per i quali siano stati di recente eseguiti i lavori di ristrutturazione, e non già alle strutture, come quella del condominio interessato, realizzate in epoca risalente, anteriore all’entrata in vigore delle norme stesse”.
Il TAR riteneva, tuttavia, di non dover aderire alle argomentazioni svolte dal condominio ricorrente.
Secondo il TAR, infatti, è vero che le norme richiamate dall’amministrazione comunale non erano applicabili al caso di specie, ma ciò non consentiva, comunque, di poter sostenere che il Comune non avesse il potere “di ordinare la costruzione di locali destinati allo stoccaggio dei rifiuti nei confronti dei proprietari di fabbricati di risalente costruzione”.
Infatti, secondo il TAR, per tale tipologia di fabbricati, l’applicazione delle nuove regole, può essere comunque imposta dall’Autorità amministrativa, “qualora ricorrano superiori esigenze di interesse pubblico, con il limite oggettivo degli interventi tecnicamente realizzabili”.
Nello specifico, osserva il TAR come siano “tipiche esigenze di interesse pubblico”, quelle connesse “alle preminenti esigenze di tutela della salute e dell’igiene ed, in particolare, al corretto svolgimento delle operazioni di raccolta e stoccaggio dei rifiuti, prodotti dalle unità abitative, all’interno di spazi ed aree condominiali, in attesa del loro conferimento al servizio pubblico di raccolta”.
Osserva il TAR, peraltro, come appaia del tutto “intollerabile” che “i rifiuti vengano ammassati (pur se allocati in appositi cassonetti), per stazionare, in attesa del conferimento, in aree condominiali non adatte allo scopo, poste in immediata vicinanza alla finestra delle abitazioni”.
Secondo il TAR, dunque, l’Amministrazione comunale aveva del tutto legittimamente adottato il provvedimento impugnato, ordinando “l’adeguamento del fabbricato al vigente regolamento edilizio, attraverso la realizzazione di un apposito locale di raccolta, con conseguente infondatezza delle censure proposte”.
Alla luce di tali considerazioni, il TAR rigettava il ricorso proposto dal condominio, condannando il medesimo al pagamento delle spese processuali.