La responsabilità processuale aggravata di cui all’art. 96 c.p.c. è un istituto che mira a tutelare l’interesse di una delle parti a non subire pregiudizi a seguito dell’azione o resistenza dolosa o colposa dell’altra parte.
Il legislatore prevede invero il potere del giudice di condannare al risarcimento dei danni (oltre che alla refusione delle spese di lite) la parte che, agendo in giudizio, abbia realizzato un c.d. illecito processuale: a fondamento di tale fattispecie si pone il concetto di abuso del diritto o abuso del processo, ossia l’impiego distorto del giudizio per fini che esulano dal suo scopo tipico e al di là dei limiti determinati dalla sua funzione.
Sul tema è di recente tornata la Corte di Cassazione a Sezioni Unite con l’ordinanza n. 34349 emessa in data 15 novembre 2021, con particolare riferimento alle conseguenze della proposizione di un regolamento di giurisdizione palesemente inammissibile alla luce della normativa vigente come interpretata da giurisprudenza consolidata sul punto.
Nello specifico, il Supremo Collegio ha ritenuto infatti che anche il regolamento di giurisdizione pretestuosamente proposto possa comportare la responsabilità processuale aggravata: la Corte ha affermato espressamente, infatti, che “costituisce causa di responsabilità processuale aggravata, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 96 c.p.c., la proposizione di un regolamento di giurisdizione senza il riscontro preventivo – nell’esercizio di un minimo di elementare diligenza – dell’erroneità della propria tesi alla stregua della disciplina positiva e della giurisprudenza, costituendo tale difetto di diligenza un elemento rivelatore di un uso distorto del regolamento ai fini meramente dilatori”.
La vicenda originariamente sub iudice, in particolare, riguardava un atto di compravendita immobiliare avente ad oggetto un immobile abusivo. Tale contratto era stato dichiarato nullo dal Tribunale, il quale aveva condannato il venditore alla restituzione del prezzo e al pagamento di ulteriori somme. Nonostante il venditore avesse subito restituito dette somme agli acquirenti, questi continuava ad occupare l’immobile sine titulo, sicchè il primo si era rivolto al Tribunale richiedendo la restituzione dell’immobile, il pagamento degli interessi nonché il risarcimento del danno.
I soggetti così convenuti avevano allora sostenuto che l’immobile, non essendo stato demolito né messo a norma, era diventato un bene pubblico ai sensi dell’art. 31 D.p.r. 380/2001 e pertanto avevano proposto regolamento di giurisdizione ex art. 41 c.p.c., deducendo che la controversia rientrasse nella giurisdizione del Giudice Amministrativo.
Le Sezioni Unite, così investite della questione, hanno ritenuto il ricorso del tutto inammissibile, atteso che pacifica giurisprudenza esclude la proponibilità del regolamento nelle controversie tra privati ove la Pubblica Amministrazione sia estranea al giudizio. Il Collegio, dunque, ha condannato i ricorrenti al pagamento di una somma fissata in via equitativa ai sensi dell’art. 96 co. 3 c.p.c.
Come ricorda la Corte, quella prevista dal comma terzo dell’art. 96 c.p.c., infatti, è una sanzione pubblicistica autonoma rispetto a quelle previste dai commi precedenti della stessa norma. Tale sanzione, segnatamente, è volta alla repressione delle condotte di abuso del processo, sicchè:
- non è necessaria la prova del dolo o della colpa grave;
- non è necessaria la dimostrazione del danno;
- non è necessaria la domanda di parte.
Per le Sezioni Unite la proposizione di un regolamento di giurisdizione totalmente inammissibile può comportare responsabilità processuale aggravata.