Il caso sottoposto all’esame del TAR ha visto come protagonista un soggetto che aveva impugnato i provvedimenti con cui la Questura di Roma gli aveva revocato il porto d’armi (relativo ad un fucile ad uso caccia) e la Prefettura gli aveva vietato di “detenere armi, munizioni e materiale esplodente”.
Nello specifico, la Questura aveva motivato il proprio provvedimento dichiarando che il soggetto in questione, in diverse occasioni, avrebbe manifestato “comportamenti aggressivi e minacciosi nei confronti dei genitori arrivando in alcune occasioni anche allo scontro fisico”.
Ritenendo la decisione ingiusta, il soggetto in questione aveva deciso di rivolgersi al TAR, nella speranza di ottenere l’annullamento dei provvedimenti emessi nei suoi confronti.
Il TAR, tuttavia, non aveva ritenuto di poter dar ragione al ricorrente, confermando la legittimità dei provvedimenti adottati nei suoi confronti.
Osservava il TAR, in proposito, che il potere riconosciuto all’Amministrazione in materia di armi (art. 11 T.U.L.P.S.), è caratterizzato da “elevata discrezionalità, in considerazione dei rischi di commissione di illeciti connessi al possesso delle stesse”.
Di conseguenza, secondo il TAR, la revoca del porto d’armi e il divieto di detenere armi e munizioni, non richiedeva “un oggettivo ed accertato abuso delle armi, essendo sufficiente che il soggetto non dia affidamento di non abusarne, sulla base del prudente apprezzamento di tutte le circostanze di fatto rilevanti nella concreta fattispecie da parte dell'Autorità amministrativa”.
Tale giudizio, dunque, secondo il TAR, è un giudizio “prognostico”, che può basarsi anche solo su elementi indiziari, “stante il potenziale pericolo per la sicurezza pubblica rappresentato dalla possibilità di utilizzo delle armi possedute”.
Ebbene, nel caso di specie, il TAR riteneva che, dagli accertamenti effettuati dalla Questura e dalla Prefettura, era emersa la “la sussistenza di una situazione familiare particolarmente conflittuale – in particolare tra il ricorrente ed il padre”, che era, altresì, degenerata in “comportamenti aggressivi e minacciosi”, sino ad arrivare, in alcune occasioni, “allo scontro fisico”.
Secondo il TAR, pertanto, la Questura e la Prefettura avevano, del tutto correttamente, ritenuto che non sussistessero, in capo al ricorrente, le condizioni per il mantenimento del porto d’armi.
A sostegno della propria decisione, il TAR evidenziava che il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 3010 del 22 ottobre 2003, aveva affermato che “anche un comportamento non penalmente sanzionabile può costituire espressione di una capacità di abuso dell'arma.