Il Dipartimento di Giustizia americano sostiene che l’azienda fondata da Larry Page e Sergey Brin abbia messo in atto pratiche anticoncorrenziali per escludere i piccoli rivali dal mercato della pubblicità online e per mantenere la sua posizione di predominio nel settore della ricerca. Quello che si contesta non è tanto la detenzione della posizione di monopolio che, di per sé, non è illegale, ma il modo in cui è stata ottenuta. Il grande motore di ricerca avrebbe cioè sfruttato le sue enormi risorse economiche per concludere accordi commerciali, per oltre 10 miliardi di dollari, con altre aziende quali Apple e Samsung, per far sì che il suo motore di ricerca fosse installato come motore di ricerca predefinito nella maggior parte dei loro dispositivi.
È così che il gigante farebbe fuori i prodotti della concorrenza. È così che succede che ogni volta che volete fare una ricerca con i vostri smartphone o computer il primo motore di ricerca che vedete sullo schermo è Google.
Google che, dal canto suo, di illegale non ci vede niente. E ribatte che qualora lo volessero sul serio le persone potrebbero optare per altri motori di ricerca con un semplice click. Ma tanto non lo fanno perché in fondo Google è il migliore. E per dirlo, il colosso di Mountain View di studi di avvocati ne ha assoldati tre. Tanti quanti gli anni che il Dipartimento di Giustizia americano ha impiegato per preparare la sua battaglia contro l’azienda. “Le persone non usano Google perché devono, lo usano perché vogliono” ha tuonato l’avvocato di Google Kent Walker in una dichiarazione.
A decidere le sorti del gigante che detiene una fetta di oltre il 90% del mercato della ricerca online sarà un processo senza giuria che durerà all’incirca dieci settimane. Un processo che è la più grande battaglia antitrust avviata dagli Stati Uniti contro un’azienda tecnologica dopo quella contro Microsoft del 1998.
Se Metha (il giudice non ostile ai Big Tech del Distretto della Columbia, scelto nel 2014 dall’allora presidente Barack Obama) dovesse deliberare a favore delle richieste dell’Antitrust del Dipartimento di Giustizia, le conseguenze potrebbero essere immense: il colosso Google potrebbe essere chiamato a sborsare miliardi di dollari o ad adottare politiche che consentano ai piccoli rivali finora pesantemente schiacciati di entrare finalmente nel mercato su cui attualmente troneggia l’azienda di Page e Brin.
Cosa ne sarà del regno di Google è difficile dirlo, bisognerà aspettare sino alla fine dell’anno. Quel che è certo è che il caso rappresenta una battaglia legale storica per il futuro di Internet e per il modo in cui i giganti del Web continueranno a fare affari nel mondo digitale.