Si tratta di un argomento, purtroppo, di grande attualità, essendo le aule di tribunale piene di fascicoli relative a cause instaurate dal coniuge separato o divorziato che lamenta il mancato pagamento, da parte dell’ex, dell’assegno disposto dal giudice a titolo di contributo nel mantenimento del coniuge stesso o del figlio minore.
Come anticipato, un comportamento di questo tipo integra un vero e proprio reato, espressamente disciplinato dall’art. 570 del c.p., in base al quale “chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale, o alla qualità di coniuge, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da Euro 103 a Euro 1.032”.
Tale disposizione prosegue, poi, con l’elencare le condotte che possono considerarsi “violazione degli obblighi di assistenza familiare”, precisando come la pena si applichi a chi
1) malversa o dilapida i beni del figlio minore o del pupillo o del coniuge” e
2) fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa.
Ebbene, nel caso esaminato dalla Corte di Cassazione, il padre era stato condannato dalla Corte d’Appello a tre mesi di reclusione e alla multa di Euro 400, in quanto non aveva provveduto ai propri obblighi di assistenza nei confronti della figlia minore.
Egli aveva giustificato tale suo comportamento con il fatto di trovarsi in una situazione di difficoltà economica ma non aveva specificato in cosa consistesse, concretamente, questa generica “difficoltà economica”.
Condannato in secondo grado, il medesimo decideva di ricorrere in Cassazione, la quale, tuttavia, riteneva di aderire alle argomentazioni svolte dalla Corte d’Appello, confermando la condanna del padre per il reato di cui all’art. 570 c.p.
La Corte ricorda come il reato di cui all’art. 570 c.p. presuppone necessariamente uno “stato di bisogno” del coniuge o del figlio minore, con la conseguenza che la mancata assistenza deve comportare che il coniuge o il minore stesso si trovi privato dei propri “mezzi di sussistenza”, vale a dire, di quelle risorse economiche che risultano assolutamente necessarie per vivere.
La Cassazione evidenzia, inoltre, come, al fine di poter considerare esentato il soggetto dall’obbligo di assistenza, è necessario che lo stesso dimostri di non avere a disposizione alcuna risorsa economica: conseguentemente, il genitore potrebbe sottrarsi all’obbligo di mantenimento solamente nel caso in cui dia la prova di non avere alcuna entrata economica che gli consente di adempiere questo suo obbligo.
Nello specifico, quindi, secondo la Corte, non è sufficiente affermare, del tutto genericamente, di trovarsi in una situazione di difficoltà economica, dal momento che il genitore che voglia far accertare dal giudice di non essere tenuto ad adempiere ai propri obblighi di assistenza, deve fornire la prova specifica di non percepire alcun reddito, con la conseguenza di non avere a disposizione alcuna risorsa economica che gli consenta di adempiere.
In conclusione, secondo la Corte, “il padre che fa mancare i mezzi di sussistenza alla figlia risponde del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare (art. 570 c.p.), se non dimostra in maniera specifica di essere assolutamente impossibilitato, a causa di una situazione di persistente, oggettiva, incolpevole indisponibilità di introiti, ad adempiere alla sua obbligazione. Infatti, la dimostrazione di una mera flessione degli introiti economici o la generica allegazione di difficoltà non escludono il reato de quo”.