Sempre più spesso sentiamo parlare di “fuga di cervelli”, ossia dell’espatrio di giovani laureati o di professionisti qualificati verso Stati esteri.
Le ragioni alla base di tale fenomeno sono molteplici e variegate ma, nella maggior parte dei casi, sono dettate da migliori condizioni lavorative (dallo stipendio a un miglior bilanciamento vita /lavoro) e da prospettive più rosee e sicure circa il proprio futuro.
Le conseguenze della “fuga di cervelli” sono devastanti per l’Italia, non solo per la (totale) perdita dell’investimento economico che lo Stato effettua per la formazione dei giovani laureati e professionisti, ma anche perché ogni innovazione, invenzione o ricerca prodotta all’estero dal “cervello in fuga” sarà proprietà dello Stato in cui è stata realizzata.
Tali considerazioni hanno indotto il Governo a studiare una nuova misura per incentivare – o quantomeno agevolare – il rientro dei “cervelli” italiani dagli Stati esteri.
Il Governo, infatti, con il Decreto Legislativo in materia di Fiscalità Internazionale (attuativo della Riforma Fiscale 2023), sta valutando il riconoscimento di agevolazioni fiscali per chi rientra in Italia – con conseguente cambio di residenza – a partire dal 1° gennaio 2024.
In particolare, tra le possibili misure agevolative attualmente in discussione, la più significativa è sicuramente il taglio delle imposte sui redditi fino al 70%.
Tale taglio dovrebbe durare per un massimo di 5 anni, prorogabili per ulteriori 3 anni: (i) in caso di acquisto di immobile da destinare ad abitazione principale, oppure (ii) per famiglie con figli minori a carico (o che dovessero fare figli durante il periodo di rientro in Italia).
Non tutti i lavoratori italiani all’estero - però - potranno essere beneficiari di tali sgravi fiscali: le agevolazioni sono destinate a professionisti qualificati (in possesso almeno del titolo di studio della laurea breve), docenti, ricercatori e top manager.
Pertanto, secondo lo schema previsto dal Governo, il vantaggio fiscale potrebbe essere riconosciuto qualora:
Le ragioni alla base di tale fenomeno sono molteplici e variegate ma, nella maggior parte dei casi, sono dettate da migliori condizioni lavorative (dallo stipendio a un miglior bilanciamento vita /lavoro) e da prospettive più rosee e sicure circa il proprio futuro.
Le conseguenze della “fuga di cervelli” sono devastanti per l’Italia, non solo per la (totale) perdita dell’investimento economico che lo Stato effettua per la formazione dei giovani laureati e professionisti, ma anche perché ogni innovazione, invenzione o ricerca prodotta all’estero dal “cervello in fuga” sarà proprietà dello Stato in cui è stata realizzata.
Tali considerazioni hanno indotto il Governo a studiare una nuova misura per incentivare – o quantomeno agevolare – il rientro dei “cervelli” italiani dagli Stati esteri.
Il Governo, infatti, con il Decreto Legislativo in materia di Fiscalità Internazionale (attuativo della Riforma Fiscale 2023), sta valutando il riconoscimento di agevolazioni fiscali per chi rientra in Italia – con conseguente cambio di residenza – a partire dal 1° gennaio 2024.
In particolare, tra le possibili misure agevolative attualmente in discussione, la più significativa è sicuramente il taglio delle imposte sui redditi fino al 70%.
Tale taglio dovrebbe durare per un massimo di 5 anni, prorogabili per ulteriori 3 anni: (i) in caso di acquisto di immobile da destinare ad abitazione principale, oppure (ii) per famiglie con figli minori a carico (o che dovessero fare figli durante il periodo di rientro in Italia).
Non tutti i lavoratori italiani all’estero - però - potranno essere beneficiari di tali sgravi fiscali: le agevolazioni sono destinate a professionisti qualificati (in possesso almeno del titolo di studio della laurea breve), docenti, ricercatori e top manager.
Pertanto, secondo lo schema previsto dal Governo, il vantaggio fiscale potrebbe essere riconosciuto qualora:
- il lavoratore non sia stato residente in Italia nei tre periodi d’imposta precedenti il (ri)trasferimento della residenza e si impegni a risiedervi per almeno i 5 anni successivi;
- l’attività lavorativa che verrà svolta in Italia presupponga un datore di lavoro diverso rispetto a quello che il lavoratore aveva all’estero;
- il lavoratore sia in possesso dei requisiti di elevata qualificazione o specializzazione come definiti dal Decreto Legislativo 28 giugno 2012, n. 108 e dal Decreto Legislativo 9 novembre 2007, n. 206.
È da segnalare inoltre, che, qualora il lavoratore acceda ai predetti benefici fiscali ma non mantenga la residenza in Italia per almeno 5 anni, questi dovrebbe decadere dal relativo beneficio e lo Stato potrebbe provvedere al recupero di quanto già fruito (con l’applicazione dei relativi interessi).
Ovviamente, il Governo sta studiando anche misure che – poi – dovranno evitare e/o arginare possibili intenti fraudolenti di chi rientra in Italia. Infatti, l’obiettivo dovrebbe essere quello di evitare che si possa usufruire dell’agevolazione fiscale mentre si continua a lavorare per aziende estere (magari in smart working), oppure che si prenda una residenza fittizia solo per pagare meno tasse.
In ogni caso, è opportuno sottolineare che, almeno al momento, l’uso del condizionale è d’obbligo: attualmente le misure previste nel Decreto Legislativo in commento stanno seguendo ancora il normale iter parlamentare per giungere all’approvazione del testo definitivo.