Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello, in riforma della pronuncia di primo grado, aveva rigettato l’impugnazione del licenziamento proposta dal lavoratore, ritenendo che risultasse accertata la condotta contestata, in quanto il lavoratore aveva posto in essere “tutta una serie di azioni e movimenti del tutto incompatibili con la sussistenza della malattia impeditiva della prestazione di lavoro”, certificata dal medico come “lombalgia”.
Il dipendente, ritenendo la sentenza ingiusta, proponeva ricorso per Cassazione, il quale, tuttavia, veniva rigettato.
In particolare, il ricorrente lamentava la “violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3, 4 e 5 dello Statuto dei lavoratori e degli artt. 1 e seguenti del d. lgs. n. 196 del 2003, per avere la sentenza impugnata ritenuto ammissibile che la ricerca degli elementi utili a verificare l’attendibilità della certificazione medica inviata dal lavoratore era stata compiuta da un’agenzia investigativa incaricata dal datore di lavoro”.
La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter aderire alle argomentazioni svolte dal ricorrente, e rigettava il relativo ricorso.
Secondo la Cassazione, infatti, le disposizioni dell’art. 5 della legge n. 300 del 1970 (Statuto dei lavoratori), “non precludono che le risultanze delle certificazioni mediche prodotte dal lavoratore, e in genere degli accertamenti di carattere sanitario, possano essere contestate anche valorizzando ogni circostanza di fatto – pur non risultante da un accertamento sanitario – atta a dimostrare l’insussistenza della malattia o la non idoneità di quest’ultima a determinare uno stato di incapacità lavorativa, e quindi a giustificare l’assenza”.
Inoltre, secondo la Corte, il datore di lavoro ha la facoltà “di prendere conoscenza di comportamenti del lavoratore, che, pur estranei allo svolgimento dell’attività lavorativa, sono rilevanti sotto il profilo del corretto adempimento delle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro”.
In proposito, la Cassazione evidenziava come, con la sentenza n. 3704 del 1987, fosse stata precisata la legittimità della condotta del datore di lavoro che aveva verificato l’attendibilità della certificazione medica prodotta da un lavoratore, affidandosi ad un’agenzia investigativa.
Secondo la Corte, infatti, gli artt. 2 e 3 dello Statuto dei lavoratori, dettati in tema di libertà e dignità del lavoratore, “non precludono il potere dell’imprenditore di ricorrere alla collaborazione di soggetti (come, nella specie, un’agenzia investigativa) diversi dalle guardie particolari giurate per la tutela del patrimonio aziendale, né, rispettivamente, di controllare l’adempimento delle prestazioni lavorative e quindi di accertare mancanze specifiche dei dipendenti, ai sensi degli artt. 2086 e 2104 codice civile, direttamente o mediante la propria organizzazione gerarchica”.
Conseguentemente, la sentenza della Corte d’appello appariva del tutto congrua, avendo la medesima “ritenuto legittimo il controllo finalizzato all’accertamento dell’illecita simulazione della malattia, effettuato al di fuori dell’orario di lavoro ed in fase di sospensione dell’obbligazione principale di rendere la prestazione lavorativa”.