Nello specifico, si tratta di stringhe di codici digitali criptati, i quali sono generati in via informatica grazie ad algoritmi matematici e scambiati digitalmente attraverso specifici software.
Una volta scambiate, le valute virtuali vengono conservate dagli utenti in portafogli elettronici, i c.d. digital wallet, che possono essere “contenuti” in diversi supporti, come ad esempio specifiche applicazioni da installare su smartphone o pc (c.d. desktop wallet) oppure chiavette elettroniche crittografate (c.d. hardware wallet).
Ogni portafoglio elettronico, in particolare, ha una c.d. chiave pubblica (insieme di numeri e lettere che costituisce l’indirizzo del portafoglio e che va comunicata agli altri utenti al fine di farsi trasferire valuta) e una c.d. chiave privata (codice alfanumerico che va mantenuto segreto e che consente di accedere al proprio portafoglio e di trasferire valuta ad altri). A seconda che l’utente abbia o meno il controllo della chiave privata, il portafoglio elettronico si qualifica poi come custodial o non custodial wallet.
Tanto sinteticamente premesso circa il funzionamento del mercato delle criptovalute, occorre chiedersi come tali monete virtuali vadano considerate a fini fiscali.
Ebbene, con la risposta n. 788 del 24 novembre 2021, l’Agenzia delle Entrate ha affrontato proprio tale attualissimo tema, fornendo una risposta al quesito se le valute virtuali detenute per un lungo periodo di tempo in un c.d. digital wallet, senza essere cedute né convertite in denaro, siano o meno fiscalmente rilevanti in sede di dichiarazione dei redditi nonché per la compilazione del Quadro RW, cioè di quel modello predisposto per le persone fisiche residenti in Italia che detengono investimenti all’estero e attività estere di natura finanziaria a titolo di proprietà o di altro diritto reale.
Il caso sottoposto all’attenzione dell’Agenzia delle Entrate, in particolare, riguardava delle criptovalute detenute, da una persona fisica con residenza fiscale in Italia, in diversi digital wallet (in parte presso un exchange estero e in parte in un c.d. hardware wallet e in un c.d. desktop wallet con disponibilità di chiave privata). Tali valute erano state acquistate a titolo oneroso e poi erano rimaste così depositate per più di cinque anni, senza essere cedute a terzi o convertite in denaro (c.d. strategia di detenzione in holding). A fronte di tale situazione, il possessore delle criptovalute aveva quindi proposto un’istanza di interpello all’Agenzia delle Entrate, al fine di comprendere
- se la sopra descritta strategia di detenzione in holding determini un “risultato di gestione” tale da dover essere compreso nella dichiarazione annuale dei redditi;
- se il fatto che si detenga la chiave privata per l’accesso alle valute virtuali comporta l’obbligo di compilazione del c.d. quadro RW.
Già con la risoluzione n. 72/E del 2 settembre 2016 – che l’Ufficio espressamente richiama – si era chiarito che la moneta virtuale (nella specie si trattava di bitcoin) è una moneta alternativa a quella tradizionale avente corso legale e che, non esistendo una specifica normativa sul punto, occorre guardare a quanto stabilito dalla Corte di Giustizia nel 2015 nella causa C-264/14.
Nello specifico, i giudici comunitari hanno ritenuto che le operazioni relative alle criptovalute siano “relative a divise, banconote e monete con valore liberatorio”: alla luce di tale considerazione, l’Agenzia delle Entrate rileva dunque che alle criptovalute si deve applicare il medesimo trattamento fiscale previsto per le monete tradizionali e, in particolare, l’art. 67 Tuir relativo ai redditi diversi di natura finanziaria.
Conseguentemente deve distinguersi tra:
- cessione c.d. a termine di valute virtuali (cioè l’accordo di scambiare valute in un momento successivo, ad un valore preventivamente stabilito), sempre rilevanti a fini fiscali;
- cessione c.d. a pronti di criptovalute (cioè lo scambio immediato tra una valuta virtuale e una valuta differente), fiscalmente rilevante a condizione che nel periodo d’imposta la giacenza media dei vari digital wallet del contribuente, calcolata secondo il cambio vigente all’inizio del periodo di riferimento, sia superiore a 51.645,69 euro per almeno sette giorni lavorativi continui.
L’Agenzia delle Entrate precisa, sul punto, che ai fini della compilazione di tale quadro il controvalore in euro della valuta virtuale, detenuta al 31 dicembre del periodo d’imposta, deve essere determinato al cambio indicato a tale data sul sito ove il contribuente ha acquistato la valuta virtuale. Negli anni successivi, poi, il contribuente dovrà indicare il controvalore detenuto alla fine di ciascun anno o alla data di vendita nel caso di valuta virtuale.
Inoltre, l’Agenzia delle Entrate specifica che la compilazione del Quadro RW è obbligatoria per tutte le valute detenute dal contribuente a prescindere dal tipo di wallet che si possiede: anche nel caso in cui le criptovalute siano conservate in un portafoglio elettronico con chiave privata, quindi, sussiste tale obbligo.
Le valute virtuali, pur dovendo essere indicate nel Quadro RW, non sono però soggette – precisa l’Ufficio – a Ivafe (imposta sul valore delle attività finanziarie all’estero).