La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1853 del 25 gennaio 2018, si è occupata proprio di questa questione, fornendo alcune interessanti precisazioni sul punto.
Il caso sottoposto all’esame della Cassazione ha visto come protagonisti alcuni condomini, i quali avevano agito in giudizio nei confronti del condominio di cui facevano parte, impugnando la delibera assembleare con cui era stata approvata l’esecuzione di alcuni lavori di manutenzione dell’edificio condominiale.
Nello specifico, secondo i condomini, la delibera impugnata sarebbe stata viziata, in quanto approvata anche con il voto favorevole di un condomino, che era titolare dell’impresa alla quale erano stati affidati i lavori in questione.
L’impugnazione era stata accolta in primo grado ma la sentenza era stata riformata in grado d’appello, in quanto la Corte aveva escluso che, nel caso di specie, fosse ravvisabile l’asserito “conflitto di interessi”, non essendo stato dimostrato che “i lavori condominiali, se affidati in appalto ad altra impresa, avrebbero comportato un risparmio di spesa rispetto al corrispettivo da versare all'impresa del condomino”.
Gli altri condomini, ritenendo la decisione ingiusta, avevano deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.
Osservavano i condomini, in particolare, che la Corte d’appello, nel rigettare l’impugnazione della delibera assembleare, non avrebbe dato corretta applicazione agli artt. 1394 e 2373 c.c., in quanto, “per aversi annullamento del contratto concluso da rappresentante in conflitto di interessi, non occorrerebbe prova specifica di un concreto danno arrecato al rappresentato”.
Precisavano i condomini, peraltro, che, nella fattispecie, l’assemblea aveva “dovuto votare ‘in blocco’ il bilancio consuntivo degli anni 2004-2008, con indicazione dei lavori eseguiti in un'unica voce, senza neppure poter verificare la convenienza di un'eventuale diversa offerta”.
La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter aderire alle considerazioni svolte dai condomini, rigettando il relativo ricorso, in quanto infondato.
Precisava la Corte, infatti, che, in tema di condominio, “le maggioranze necessarie per approvare le delibere sono inderogabilmente quelle previste dalla legge in rapporto a tutti i partecipanti ed al valore dell'intero edificio (…), compresi i condomini in potenziale conflitto di interesse con il condominio”, i quali possono ma non devono astenersi dal votare.
Osservava la Cassazione, dunque, che la delibera assembleare adottata con il voto determinante del condomino in conflitto di interessi potrà essere validamente impugnata solamente se risulti dimostrata “una sicura divergenza tra l'interesse istituzionale del condominio e specifiche ragioni personali di determinati singoli partecipanti, i quali non si siano astenuti ed abbiano, perciò, concorso con il loro voto a formare la maggioranza assembleare”.
L’invalidità della delibera, pertanto, discende “non solo dalla verifica del voto determinante dei condomini aventi un interesse in conflitto con quello del condominio (e che, perciò, abbiano abusato del diritto di voto in assemblea), ma altresì dalla dannosità, sia pure soltanto potenziale, della stessa deliberazione”.
Ebbene, nel caso di specie, secondo la Cassazione, la Corte d’appello aveva dato corretta applicazione ai suindicati principi, motivatamente escludendo che l’assemblea condominiale, nell'approvare la delibera impugnata, avesse perseguito “apprezzamenti obiettivamente rivolti alla realizzazione di interessi incompatibili con l'interesse collettivo alla buona gestione dell'amministrazione”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dai condomini, confermando integralmente la sentenza impugnata.