Nel caso esaminato dalla Cassazione, il Tribunale di Vasto aveva condannato un imputato per il reato di cui all’art. 727 c.p. (maltrattamento di animali), in quanto il medesimo aveva tenuto legati al collo due cani di sua proprietà mediante l'utilizzo di un collare elettronico acceso e funzionante, costringendoli a “sofferenze incompatibili con la loro natura”.
Ritenendo la decisione ingiusta, l’imputato aveva deciso di rivolgersi direttamente alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.
Secondo il ricorrente, in particolare, non era stata raggiunta nessuna prova circa i maltrattamenti subiti dai due animali, non essendo state accertate le concrete modalità di utilizzo del collare.
Osservava il ricorrente, infatti, che ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 727 c.p., è necessario che “siano state effettivamente cagionate gravi sofferenze agli animali”, non essendo sufficiente che le sofferenze stesse siano soltanto presunte.
Precisava il ricorrente, in proposito, che “l’apporre un collare ad un cane non produce sofferenze e che comunque un uso del collare ad impulsi elettrici conforme alle finalità per cui viene posto in commercio ed alle prescrizioni tecniche del produttore esclude l’ipotesi di maltrattamento di animali penalmente rilevante”.
La Corte di Cassazione riteneva, in effetti, di dover dar ragione al ricorrente, accogliendo il relativo ricorso, in quanto fondato.
Osservava la Cassazione, infatti, che il reato di “maltrattamento di animali” può dirsi perfezionato solo quando gli animali vengano detenuti “con modalità tali da arrecare gravi sofferenze, incompatibili con la loro natura, avuto riguardo, per le specie più note (quali, ad esempio, gli animali domestici), al patrimonio di comune esperienza e conoscenza e, per le altre, alle acquisizioni delle scienze naturali”.
In altri termini, secondo la Cassazione, le condizioni in cui vengono custoditi gli animali, incompatibili con la loro natura, non devono essere “dettate da particolari esigenze” e devono essere tali “da provocare negli stessi uno stato di grave sofferenza, indipendentemente dal fatto che in conseguenza di tali condizioni di custodia l’animale possa subire vere e proprie lesioni dell’integrità fisica”.
Ebbene, nel caso di specie, secondo la Corte, il Tribunale non aveva adeguatamente motivato circa la sussistenza di uno dei suindicati elementi, non essendo state evidenziate “né la condizione di detenzione dei cani contraria alla loro natura”, né “le conseguenze in concreto patite dai due animali per effetto del collare elettronico indossato”.
Precisava la Cassazione, in particolare, che il solo fatto che il collare fosse stato acceso e funzionante non consentiva di presumere che lo stesso potesse aver causato le conseguenze indicate dall’art. 727 c.p., essendo necessario verificare la qualità, la portata e l’intensità delle scariche elettriche azionate dal telecomando il possesso dell’imputato, di cui non erano state appurate le modalità di utilizzo.
Ciò considerato, la Cassazione accoglieva il ricorso proposto dall’imputato, annullando la sentenza resa dal Tribunale di Vasto, rinviando la causa al Tribunale stesso, affinchè il medesimo decidesse nuovamente sulla questione, sulla base dei principi sopra enunciati.
La Cassazione ha assolto un imputato dal reato di "maltrattamento di animali" in quanto non era stata appurata la quantità, la portata e l'intensità delle scariche elettriche azionate dal telecomando del collare.