A rischio la vendita di cannabis light in Italia. Nelle intenzioni del Governo, infatti, vi è la volontà di vietarne la vendita, rendendola illegale.
L’esecutivo ha presentato un emendamento al d.d.l. “Sicurezza”, per cui diverrebbe illegale la coltivazione nonché la vendita delle inflorescenze di canapa.
Per comprendere la scelta del Governo, è opportuno ripercorrere brevemente l’iter legislativo in materia.
Ebbene, con la l. 242/2016 veniva disciplinata in Italia la coltivazione della canapa (la c.d. Cannabis Sativa L.). In particolare, la disciplina era finalizzata ad implementare l’utilizzo della canapa in ambito industriale, cercando al contempo una soluzione al problema della progressiva e costante riduzione di terreni da coltivare (la canapa, infatti, richiede una quantità relativamente piccola di terra da coltivare)
Prima che il legislatore intervenisse in materia, limitando fortemente la coltivazione di canapa in Italia, la stessa era invece molto diffusa nel nostro Paese, vista l’ampia possibilità di impiegare tale materiale in diversi settori.
La detta l. 242/2016 ha quindi determinato una stretta rispetto alla coltivazione di canapa, senza però andare ad intaccare il D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, Testo unico sugli stupefacenti.
Più nel dettaglio, l’art. 2 limita la coltivazione della canapa a fini alimentari, cosmetici, edilizi, di ricerca, di bonifica dei siti inquinati e botanici.
Manca quindi un divieto esplicito di coltivare canapa a scopo meramente ricreativo. A ciò si aggiunge la successiva declaratoria di incostituzionalità della legge Fini-Giovanardi (sempre in materia di stupefacenti), che aveva determinato la riapplicazione delle norme contenute nella legge Vassalli. Tale normativa, in particolare, prevede che il limite del contenuto di principio attivo (c.d. Thc, ovvero tetraidrocannabinolo) per i prodotti a base di cannabis è pari allo 0,6%.
Da ciò deriva il vuoto normativo, in quanto dal combinato disposto delle due leggi non si evince alcun divieto circa la coltivazione di cannabis. L’unico limite è che il contenuto di principio attivo non superi la soglia dello 0,6%.
Dal 2016 in poi si è sviluppata in Italia una fortissima attività di produzione e commercializzazione della cannabis light, con conseguente apertura di imprese agricole che la coltivano, ma soprattutto di attività commerciali che vendono prodotti a base di cannabis, con un Thc inferiore alle 0,6%.
Della questione si è interessata anche la Corte di Cassazione. I giudici di legittimità infatti si sono trovati a pronunciarsi sul caso di un agricoltore di cannabis, la cui attività era stata sequestrata dalla Guardia di Finanza, con conseguente distruzione di varie piante di cannabis.
Ebbene, in questi casi, secondo la Suprema Corte, le forze dell’ordine, prima di procedere al sequestro e alla distruzione delle coltivazioni, devono preliminarmente effettuare un prelievo di un campione della pianta, al fine di verificare il contenuto di Thc. Solo qualora lo stesso superi la soglia dello 0,6% potranno procedere con il sequestro.
Inoltre, secondo la Cassazione, essendo lecita la coltivazione di cannabis, lecita ne è, conseguentemente, anche la vendita, visto che non sussiste alcun divieto in materia, purché i prodotti a base di cannabis abbiano un principio attivo inferiore allo 0,6%.
Dopo tale pronuncia, si è quindi verificato un ulteriore incremento degli investimenti nel settore.
Tuttavia, già nel 2022 il Governo aveva cercato di mettere un freno alla coltivazione e vendita della cannabis light, mediante l’emanazione di un decreto interministeriale che vietava il commercio della stessa. Sullo stesso però è intervenuto, nel 2023, il TAR del Lazio che, annullandolo, ne ha decretato l’illegittimità, confermando quindi la liceità della vendita di prodotti a base di cannabis light.
Il Governo quindi, con l’obiettivo di vietare totalmente la coltivazione e la vendita di cannabis light in Italia, ha presentato un emendamento al disegno di legge “Sicurezza”, con cui propone di proibire “l’importazione, la cessione, la lavorazione, la distribuzione, il commercio, il trasporto, l’invio, la spedizione e la consegna delle infiorescenze della canapa (Cannabis sativa L.) coltivata ai sensi del comma 1, anche in forma semilavorata, essiccata o triturata, nonché di prodotti contenenti tali infiorescenze, compresi gli estratti, le resine e gli oli da esse derivati”.
Ne deriverebbe dunque un blocco al commercio di tali prodotti, senza però incidere sulla coltivazione della canapa per gli altri scopi (tra l’altro indicati nella detta legge 242/2016): lo scopo dell’emendamento è infatti colpire proprio la produzione di cannabis light.
La decisione del Governo quindi preoccupa tutta la filiera che si è sviluppata, dal 2016 ad oggi. Sebbene non esistano dati ufficiali, secondo alcune stime le imprese che producono cannabis light sono circa 2.000. La filiera inoltre conta all’incirca 800 negozi sul territorio nazionale, impegnati nella vendita di prodotti di consumo a base di cannabis light.
All’interno del settore, però, è possibile effettuare una distinzione tra tre tipologie diverse di attività.
Rileva in primo luogo la filiera della cannabis light, che sicuramente è una delle più sviluppate e che verrebbe totalmente travolta qualora la misura del governo venisse approvata.
Un’altra area è quella industriale. In tale ambito la canapa viene utilizzata non per scopo ricreativo, bensì in ambiti come la tessitura, le attività di bonifica o di bioedilizia.
Ne deriva che le aziende impegnate in questi settori non subirebbero grossi danni dall’emendamento governativo, in quanto dovrebbero limitarsi ad evitare la produzione di inflorescenze.
L’ultima area, che pure verrebbe completamente annientata, è quella impegnata nell’estrazione di Cbd, o Cannabidiolo, ovvero un isomero del Thc, che però non produce nessun effetto di tipo psicotropo e non costituisce quindi una sostanza stupefacente.
L’impiego del Cbd infatti è circoscritto alla sola cosmetica, erboristeria e integratori alimentari.
Beppe Croce, presidente di Federcanapa, ha espresso quindi preoccupazione per la decisione del governo e in un suo comunicato ha dichiarato quanto segue: “È ben peggio di uno stop alla cannabis light. L’elenco di attività del disegno di legge di fatto tende a bloccare tutta la filiera agroindustriale della canapa da estrazione, in particolare la produzione di derivato da Cbd o da altri cannabinoidi non stupefacenti per impieghi in cosmesi, erboristeria o negli integratori alimentari, che con la cannabis light non ha niente a che vedere”.
L’esecutivo ha presentato un emendamento al d.d.l. “Sicurezza”, per cui diverrebbe illegale la coltivazione nonché la vendita delle inflorescenze di canapa.
Per comprendere la scelta del Governo, è opportuno ripercorrere brevemente l’iter legislativo in materia.
Ebbene, con la l. 242/2016 veniva disciplinata in Italia la coltivazione della canapa (la c.d. Cannabis Sativa L.). In particolare, la disciplina era finalizzata ad implementare l’utilizzo della canapa in ambito industriale, cercando al contempo una soluzione al problema della progressiva e costante riduzione di terreni da coltivare (la canapa, infatti, richiede una quantità relativamente piccola di terra da coltivare)
Prima che il legislatore intervenisse in materia, limitando fortemente la coltivazione di canapa in Italia, la stessa era invece molto diffusa nel nostro Paese, vista l’ampia possibilità di impiegare tale materiale in diversi settori.
La detta l. 242/2016 ha quindi determinato una stretta rispetto alla coltivazione di canapa, senza però andare ad intaccare il D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, Testo unico sugli stupefacenti.
Più nel dettaglio, l’art. 2 limita la coltivazione della canapa a fini alimentari, cosmetici, edilizi, di ricerca, di bonifica dei siti inquinati e botanici.
Manca quindi un divieto esplicito di coltivare canapa a scopo meramente ricreativo. A ciò si aggiunge la successiva declaratoria di incostituzionalità della legge Fini-Giovanardi (sempre in materia di stupefacenti), che aveva determinato la riapplicazione delle norme contenute nella legge Vassalli. Tale normativa, in particolare, prevede che il limite del contenuto di principio attivo (c.d. Thc, ovvero tetraidrocannabinolo) per i prodotti a base di cannabis è pari allo 0,6%.
Da ciò deriva il vuoto normativo, in quanto dal combinato disposto delle due leggi non si evince alcun divieto circa la coltivazione di cannabis. L’unico limite è che il contenuto di principio attivo non superi la soglia dello 0,6%.
Dal 2016 in poi si è sviluppata in Italia una fortissima attività di produzione e commercializzazione della cannabis light, con conseguente apertura di imprese agricole che la coltivano, ma soprattutto di attività commerciali che vendono prodotti a base di cannabis, con un Thc inferiore alle 0,6%.
Della questione si è interessata anche la Corte di Cassazione. I giudici di legittimità infatti si sono trovati a pronunciarsi sul caso di un agricoltore di cannabis, la cui attività era stata sequestrata dalla Guardia di Finanza, con conseguente distruzione di varie piante di cannabis.
Ebbene, in questi casi, secondo la Suprema Corte, le forze dell’ordine, prima di procedere al sequestro e alla distruzione delle coltivazioni, devono preliminarmente effettuare un prelievo di un campione della pianta, al fine di verificare il contenuto di Thc. Solo qualora lo stesso superi la soglia dello 0,6% potranno procedere con il sequestro.
Inoltre, secondo la Cassazione, essendo lecita la coltivazione di cannabis, lecita ne è, conseguentemente, anche la vendita, visto che non sussiste alcun divieto in materia, purché i prodotti a base di cannabis abbiano un principio attivo inferiore allo 0,6%.
Dopo tale pronuncia, si è quindi verificato un ulteriore incremento degli investimenti nel settore.
Tuttavia, già nel 2022 il Governo aveva cercato di mettere un freno alla coltivazione e vendita della cannabis light, mediante l’emanazione di un decreto interministeriale che vietava il commercio della stessa. Sullo stesso però è intervenuto, nel 2023, il TAR del Lazio che, annullandolo, ne ha decretato l’illegittimità, confermando quindi la liceità della vendita di prodotti a base di cannabis light.
Il Governo quindi, con l’obiettivo di vietare totalmente la coltivazione e la vendita di cannabis light in Italia, ha presentato un emendamento al disegno di legge “Sicurezza”, con cui propone di proibire “l’importazione, la cessione, la lavorazione, la distribuzione, il commercio, il trasporto, l’invio, la spedizione e la consegna delle infiorescenze della canapa (Cannabis sativa L.) coltivata ai sensi del comma 1, anche in forma semilavorata, essiccata o triturata, nonché di prodotti contenenti tali infiorescenze, compresi gli estratti, le resine e gli oli da esse derivati”.
Ne deriverebbe dunque un blocco al commercio di tali prodotti, senza però incidere sulla coltivazione della canapa per gli altri scopi (tra l’altro indicati nella detta legge 242/2016): lo scopo dell’emendamento è infatti colpire proprio la produzione di cannabis light.
La decisione del Governo quindi preoccupa tutta la filiera che si è sviluppata, dal 2016 ad oggi. Sebbene non esistano dati ufficiali, secondo alcune stime le imprese che producono cannabis light sono circa 2.000. La filiera inoltre conta all’incirca 800 negozi sul territorio nazionale, impegnati nella vendita di prodotti di consumo a base di cannabis light.
All’interno del settore, però, è possibile effettuare una distinzione tra tre tipologie diverse di attività.
Rileva in primo luogo la filiera della cannabis light, che sicuramente è una delle più sviluppate e che verrebbe totalmente travolta qualora la misura del governo venisse approvata.
Un’altra area è quella industriale. In tale ambito la canapa viene utilizzata non per scopo ricreativo, bensì in ambiti come la tessitura, le attività di bonifica o di bioedilizia.
Ne deriva che le aziende impegnate in questi settori non subirebbero grossi danni dall’emendamento governativo, in quanto dovrebbero limitarsi ad evitare la produzione di inflorescenze.
L’ultima area, che pure verrebbe completamente annientata, è quella impegnata nell’estrazione di Cbd, o Cannabidiolo, ovvero un isomero del Thc, che però non produce nessun effetto di tipo psicotropo e non costituisce quindi una sostanza stupefacente.
L’impiego del Cbd infatti è circoscritto alla sola cosmetica, erboristeria e integratori alimentari.
Beppe Croce, presidente di Federcanapa, ha espresso quindi preoccupazione per la decisione del governo e in un suo comunicato ha dichiarato quanto segue: “È ben peggio di uno stop alla cannabis light. L’elenco di attività del disegno di legge di fatto tende a bloccare tutta la filiera agroindustriale della canapa da estrazione, in particolare la produzione di derivato da Cbd o da altri cannabinoidi non stupefacenti per impieghi in cosmesi, erboristeria o negli integratori alimentari, che con la cannabis light non ha niente a che vedere”.