L’accusa di atti persecutori viene riqualificata dalla Corte d’Appello che riconosce i presupposti del reato nella sua forma consumata e non tentata, aumentando così la pena a un anno e due mesi di reclusione confermando però il risarcimento del danno previsto dal primo giudice.
L’imputato ricorre in Cassazione, evidenziando come nella riqualificazione del reato di atti persecutori in forma consumata, la Corte d’Appello abbia erroneamente considerato sussistenti gli eventi tipici della fattispecie in esame. Nello specifico, il cambiamento delle abitudini di vita della vittima e lo stato di grave ansia, non trovano riscontro nelle evidenze concrete. La stessa infatti non vive una condizione di ansia e stress, così come emerge dal suo miglior rendimento universitario e dalle foto postate sui social che la ritraggono speso sorridente.
Le doglianze portate avanti dalla vittima con convincono la Cassazione che ritiene infondato il motivo sollevato dal difensore. Gli Ermellini infatti danno rilievo al racconto della vittima e alle testimonianze non solo dei testimoni ma anche in parte confermato dall’imputato.
In relazione alla prova degli eventi tipici della fattispecie di reato di atti persecutori ex art. 612 bis del Codice Penale, la Cassazione evidenzia come la prova dei fatti si possa evincere dalla reazione della vittima alle condotte persecutorie. La stessa infatti ha cambiato il numero di telefono e ha iniziato a uscire solo accompagnata evitando i luoghi frequentati dal’ex fidanzato.
Consolidata giurisprudenza afferma infatti che la prova dell’evento del delitto di atti persecutori deve essere riscontrata nella reazione della vittima alle condotte poste in essere dall’imputato. Nello specifico, il grave e perdurante stato di ansia, frutto dell’idoneità astratta delle condotte a causare l’evento e in riferimento alle condizioni concrete, riscontrabile nello stato della vittima colpita da frequenti attacchi di panico e pensieri suicidi.