Nel caso esaminato dalla Corte, il condominio aveva agito in giudizio nei confronti di una condomina, la quale “aveva acquistato dalla società semplice …. le soffitte poste al quarto piano dello stabile condominiale, unitamente al collegato balcone, il w.c. ed il corridoio di disimpegno dei predetti locali, inglobando il tutto nel corso della ristrutturazione dell'intero piano, così impedendo l'accesso agli altri condomini”, chiedendo, dunque, la condanna della stessa alla “riduzione in pristino stato”, dal momento che tale corridoio era di proprietà comune.
La domanda veniva accolta nei primi due gradi di giudizio, con la conseguenza che la condomina, condannata alla rimessione in pristino, decideva di proporre ricorso per Cassazione, in quanto la sentenza sarebbe radicalmente nulla, essendo “stata pronunciata in situazione di carenza dei poteri di rappresentanza dei condomini in capo all'amministratore del condominio ex art. 77 c.p.c., da cui discenderebbe la nullità della procura conferita al difensore”.
In sostanza, secondo la ricorrente, “la corte di merito avrebbe riconosciuto la legittimazione ad agire dell'amministratore condominiale nonostante lo stesso avesse vantato pretese concernenti l'affermazione di diritti di proprietà, anche se aventi ad oggetto beni comuni, per cui necessitava del mandato conferito da ciascuno dei condomini”.
La Corte di Cassazione, tuttavia, non ritiene tale argomentazione convincente, rigettando, dunque, il relativo ricorso e confermando la sentenza resa, in secondo grado, dalla Corte d’Appello.
Osserva la Corte, infatti, come debba trovare applicazione nel caso di specie l’art. 1130 codice civile, in base al quale, l’amministratore di condominio ha l’obbligo di “compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio. Nei limiti di questa attribuzione, l'amministratore ha la rappresentanza dei partecipanti e può agire in giudizio sia contro i condomini sia contro i terzi. Secondo l'interpretazione di questa Corte, il legislatore ha inteso riferirsi ai soli atti materiali (riparazioni di muri portanti, di tetti e lastrici) e giudiziali (azioni contro comportamenti illeciti posti in essere da terzi) necessari per la salvaguardia dell'integrità dell'immobile (cfr Cass. n. 8233 del 2007), cioè ad atti meramente conservativi".
Di conseguenza, la Corte ritiene che i giudici dei precedenti gradi di giudizio abbiano correttamente applicato l’art. 1130 c.c., in quanto il condominio “ha, infatti, agito per difendere il mantenimento della disponibilità materiale di parte dell'area sottotetto, inglobata nella proprietà esclusiva dalla C.S. , con i lavori di ristrutturazione delle soffitte, dalla stessa acquistate dalla …...”.
Dunque, secondo la Cassazione, “per proporre tale azione, da definirsi quindi di accertamento dei diritti dominicali, non era necessario il mandato di tutti i condomini, potendo l'amministratore agire ex art. 1130 c.c., n. 4, e art. 1131 c.c. (v. Cass. Sez. Unite n. 18331 del 2011 e più di recente, Cass. n. 28141 del 2013)”.
In altri termini, secondo la Cassazione, il condominio aveva tutto il diritto di agire per la rimessione in pristino, anche se non aveva ricevuto l’incarico con il consenso di tutti i condomini.
Nel caso di specie, infatti, trova applicazione l’art. 1130 c.c., il quale prevede che l’amministratore abbia il potere di “ compiere gli atti conservativi relativi alle parti comuni dell'edificio”, senza che sia a tal fine necessario un apposito mandato, conferito da tutti i condomini.