La vicenda giudiziaria oggetto della pronuncia della Suprema Corte vedeva come protagonista un uomo, il quale, dopo essere stato accusato dall’ex moglie di avere violato i propri obblighi di assistenza familiare, veniva condannato ai sensi dell’art. 570 del c.p. in entrambi i gradi del giudizio di merito, nonostante l’imputato avesse prodotto, a sua difesa, alcuni documenti dai quali, a suo avviso, si deduceva la volontà dell’ex moglie di compensare il proprio diritto di credito al mantenimento con il suo stesso debito verso l’ex coniuge.
L’imputato, rimasto soccombente nei primi due gradi di giudizio, ricorreva dinanzi alla Corte di Cassazione, chiedendo l’annullamento della sentenza d’appello.
Il ricorrente eccepiva, innanzitutto, come non fossero state assunte alcune prove decisive, quali le mail scambiate dagli ex coniugi da cui emergeva come egli vantasse dei diritti di credito verso la donna in virtù di titoli esecutivi, nonché come fosse stata la stessa ex moglie a chiedere la compensazione.
L’uomo escludeva, peraltro, che l’ex coniuge si trovasse in uno stato di bisogno.
Si contestava, infine, l’erroneità della sentenza impugnata, la quale aveva riconosciuto in capo all’imputato la sussistenza di un intento doloso, nonostante avesse allo stesso tempo accertato come lo stesso frequentasse costantemente i figli.
La Suprema Corte ha, tuttavia, dichiarato inammissibile il ricorso.
In primo luogo, secondo gli Ermellini, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, dallo scambio di mail intercorso tra quest’ultimo e l’ex moglie non risultava che la richiesta di compensazione dei crediti fosse stata avanzata dalla donna.
I giudici di legittimità hanno, inoltre, precisato che l’aspetto civilistico, che prevede l’obbligo di versare le somme dovute a titolo di mantenimento, va tenuto distinto da quello penalistico, il quale punisce, invece, chi faccia mancare ai familiari i mezzi di sussistenza. In questo secondo caso, infatti, la stessa Cassazione, con orientamento costante, ha stabilito che il soggetto obbligato a fornire i mezzi di sostentamento, non può opporre in compensazione un suo diritto di credito verso chi ne abbia diritto, al fine di escludere una sua imputazione ai sensi dell’art. 570 c.p., considerato che il dovere principale di un padre ed ex marito è quello di provvedere al mantenimento dei figli minori e dell’ex moglie che si trovino in stato di bisogno (Cass. Pen., n. 9600/2011; Cass. Pen., n. 17916/2003).
Errata anche l’affermazione del ricorrente per cui l’ex moglie non sarebbe in stato di bisogno, in quanto dai documenti prodotti in giudizio emerge chiaramente la situazione di difficoltà della donna. La sentenza impugnata, infatti, individua in modo specifico gli elementi da cui si desume lo stato di bisogno della ex coniuge, ossia: il pignoramento di un terzo del suo stipendio per far fronte al pagamento del mutuo stipulato per l'acquisto di una casa, la richiesta di un parziale anticipo del proprio Tfr avanzata al datore di lavoro, la vendita di oggetti d'oro di sua proprietà, nonché il riscatto si una polizza assicurativa.
Per quanto concerne, infine, l’elemento soggettivo del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare, la Cassazione ribadisce che si tratta di una fattispecie a dolo generico, non essendo, dunque, necessario che la condotta omissiva sia posta in essere con l'intenzione e la volontà di far mancare i mezzi di sussistenza alla persona bisognosa. Al contrario, è sufficiente che vi sia, in capo all'agente, la consapevolezza di privare, con la propria condotta, la persona bisognosa, in questo caso i figli e l'ex moglie, dei mezzi di sussistenza (Cass. Pen., n. 24644/2014).