(massima n. 1)
Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 10, comma 1, lettera c ), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, sollevata in relazione all'art.
3 Cost., nella parte in cui esclude la deducibilità dal reddito complessivo, ai fini delle imposte dirette, degli assegni periodici corrisposti al coniuge a séguito di separazione o divorzio, nella misura in cui risultano da provvedimenti dell'autorità giudiziaria, per il mantenimento dei figli, in quanto determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento fiscale rispetto all'«analoga» ipotesi di somme corrisposte in adempimento dell'obbligo di prestare gli alimenti ai soggetti indicati dall'art.
433 del codice civile (e, quindi, anche ai figli), le quali, invece - nella misura in cui risultano da provvedimenti dell'autorità giudiziaria -, sono deducibili dal reddito complessivo, ai fini delle imposte dirette (art. 10, comma 1, lettera d , del D.P.R. n. 917 del 1986). Nella specie, la scelta del legislatore di differenziare - nell'àmbito degli assegni determinati iussu iudicis a favore dei figli - il regime fiscale dell'assegno di mantenimento da quello dell'assegno di alimenti legali non è arbitraria per due distinte e concorrenti ragioni. In primo luogo, va rilevato che dall'esatta premessa che l'assegno alimentare costituisce, quantitativamente, un minus rispetto all'assegno di mantenimento, non può trarsi l'erronea conseguenza che tali assegni debbono avere il medesimo trattamento fiscale, derivando, da tale premessa, soltanto che, nel caso di assegno di mantenimento per i figli, la funzione propriamente alimentare del medesimo assegno è assolta dal minore importo, in esso ricompreso, corrispondente all'ammontare di un ipotetico assegno di alimenti legali. In secondo luogo, la norma denunciata appare non irragionevole in considerazione delle evidenti differenze di presupposti e di funzioni tra l'obbligo di mantenimento dei figli e l'obbligo degli alimenti legali in favore dei medesimi. Infatti, mentre l'obbligo di mantenimento è espressione del dovere di solidarietà familiare sancito dall'art.
30 Cost. ed assolve la funzione di consentire il pieno sviluppo della personalità dei figli, l'obbligo alimentare sussiste, invece, solo ove non vi sia obbligo di mantenimento ed assolve la diversa funzione di assistenza familiare, in quanto è diretto esclusivamente ad ovviare allo stato di bisogno ed all'incapacità dell'alimentando di farvi fronte. Deve, pertanto, concludersi che la scelta del legislatore di consentire la deduzione fiscale esclusivamente dell'assegno periodico alimentare e non di quello di mantenimento appare ispirata alla non irragionevole ratio non solo di differenziare il trattamento fiscale di prestazioni eterogenee, ma anche di favorire l'adempimento dell'obbligo alimentare, cioè di un obbligo che sorge solo ove manchi quello di mantenimento e, quindi, ove sia divenuto meno intenso il vincolo di solidarietà familiare. Sulla deducibilità e detraibilità ai fini fiscali che resta affidata alla discrezionalità del legislatore, la quale «rimane insindacabile nel giudizio di costituzionalità, a meno che non trasmodi in arbitrio», v. le citate sentenza n. 134/1982 e ordinanze n. 258/2008, n. 370/1999 e n. 950/1988.