(massima n. 2)
La cessione del credito in luogo dell'adempimento, prevista all'art. 1198 c.c., non comporta l'immediata liberazione del debitore originario, la quale consegue solo alla realizzazione del credito ceduto, ma soltanto l'affiancamento al credito originario di quello ceduto, con la funzione di consentire al creditore di soddisfarsi mediante la realizzazione di quest'ultimo credito; all'interno di questa situazione di compresenza, il credito originario entra in fase di quiescenza, e rimane inesigibile per tutto il tempo in cui persiste la possibilità della fruttuosa escussione del debitore ceduto, in quanto solo quando il medesimo risulta insolvente il creditore può rivolgersi al debitore originario. Ne consegue che finché non è esigibile il credito ceduto pro solvendo tale non è nemmeno il credito originario; mentre quando quest'ultimo diviene esigibile, non per ciò stesso lo diviene anche il credito originario, atteso l'onere della preventiva escussione (da parte del cessionario) del debitore ceduto, stante il rinvio operato dall'art. 1198, secondo comma, c.c. Ne consegue ulteriormente che, non essendovi estinzione del debito originario — con trasformazione novativa in obbligazione accessoria di garanzia del debito ceduto —, ma rimanendo in vita entrambi i debiti, con impossibilità di chiedere al cedente l'adempimento del debito originario in difetto di previa infruttuosa escussione del debitore ceduto, solo da tale momento, in conformità con il principio posto all'art. 2935 c.c., inizia a decorrere la prescrizione relativa al debito ceduto.