(massima n. 1)
Il rigetto della richiesta di giudizio abbreviato subordinata dall'imputato all'assunzione di prove integrative, quando deliberato sull'erroneo presupposto che si tratti di prove non necessarie ai fini della decisione, inficia la legalità del procedimento di quantificazione della pena da infliggere qualora si pervenga, in esito al dibattimento, ad una sentenza di condanna. Ne consegue che il giudice dibattimentale il quale abbia respinto in limine litis la richiesta di accesso al rito abbreviato - «rinnovata» dopo il precedente rigetto del giudice per le indagini preliminari ovvero proposta per la prima volta, in caso di giudizio direttissimo o per citazione diretta - deve applicare anche d'ufficio la riduzione di un terzo prevista dall'art. 442 c.p.p., se riconosca (pure alla luce dell'istruttoria espletata) che quel rito si sarebbe dovuto invece celebrare. (In motivazione la Corte ha chiarito che può parlarsi di violazione dei criteri legali di quantificazione della pena solo quando la preclusione del rito sia dipesa dall'erronea deliberazione del giudice, e non dall'inerzia del soggetto cui la legge rimette in via esclusiva la possibilità di attivare il procedimento speciale, cosicché, nel caso in cui l'imputato non rinnova in limine litis una richiesta già respinta dal giudice preliminare, non può farsi più questione della eventuale erroneità del provvedimento reiettivo).