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Articolo 71 Codice del terzo settore

(D.lgs. 3 luglio 2017, n. 117)

[Aggiornato al 03/08/2024]

Locali utilizzati

Dispositivo dell'art. 71 Codice del terzo settore

1. Le sedi degli enti del Terzo settore e i locali in cui si svolgono le relative attività istituzionali, purché non di tipo produttivo, sono compatibili con tutte le destinazioni d'uso omogenee previste dal decreto del Ministero dei lavori pubblici 2 aprile 1968 n. 1444 e simili, indipendentemente dalla destinazione urbanistica.

2. Lo Stato, le Regioni e Province autonome e gli Enti locali possono concedere in comodato beni mobili ed immobili di loro proprietà, non utilizzati per fini istituzionali, agli enti del Terzo settore, ad eccezione delle imprese sociali, per lo svolgimento delle loro attività istituzionali. La cessione in comodato ha una durata massima di trent'anni, nel corso dei quali l'ente concessionario ha l'onere di effettuare sull'immobile, a proprie cura e spese, gli interventi di manutenzione e gli altri interventi necessari a mantenere la funzionalità dell'immobile.

3. I beni culturali immobili di proprietà dello Stato, delle regioni, degli enti locali e degli altri enti pubblici, per l'uso dei quali attualmente non è corrisposto alcun canone e che richiedono interventi di restauro, possono essere dati in concessione a enti del terzo settore, che svolgono le attività indicate all'articolo 5, comma 1, lettere f), i), k), o z) con pagamento di un canone agevolato, determinato dalle amministrazioni interessate, ai fini della riqualificazione e riconversione dei medesimi beni tramite interventi di recupero, restauro, ristrutturazione a spese del concessionario, anche con l'introduzione di nuove destinazioni d'uso finalizzate allo svolgimento delle attività indicate, ferme restando le disposizioni contenute nel decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. La concessione d'uso è finalizzata alla realizzazione di un progetto di gestione del bene che ne assicuri la corretta conservazione, nonché l'apertura alla pubblica fruizione e la migliore valorizzazione. Dal canone di concessione vengono detratte le spese sostenute dal concessionario per gli interventi indicati nel primo periodo entro il limite massimo del canone stesso. L'individuazione del concessionario avviene mediante le procedure semplificate di cui all'articolo 151, comma 3, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50. Le concessioni di cui al presente comma sono assegnate per un periodo di tempo commisurato al raggiungimento dell'equilibrio economico-finanziario dell'iniziativa e comunque non eccedente i 50 anni.

4. Per concorrere al finanziamento di programmi di costruzione, di recupero, di restauro, di adattamento, di adeguamento alle norme di sicurezza e di straordinaria manutenzione di strutture o edifici da utilizzare per le finalità di cui al comma 1, per la dotazione delle relative attrezzature e per la loro gestione, gli enti del Terzo settore sono ammessi ad usufruire, nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, al ricorrere dei presupposti e in condizioni di parità con gli altri aspiranti, di tutte le facilitazioni o agevolazioni previste per i privati, in particolare per quanto attiene all'accesso al credito agevolato.

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Consulenze legali
relative all'articolo 71 Codice del terzo settore

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Andrea I. chiede
sabato 27/02/2021 - Calabria
“spett. Brocardi,
vorrei domandare se un associazione sportiva asd riconosciuta anche come aps, in base all art. 71 comma 1 possa praticare l attività sportiva e sociale su terreno agricolo, o se debba chiedere variazione della destinazione d uso tramite conferenza di servizi.
Nel dettaglio sono proprietario di un appezzamento di terreno agricolo nel quale ho realizzato dei terrapieni per la pratica del tiro sportivo a seguito della presentazione di una scia. mi è stato risposto che essendo il terreno di tipo E2 quindi agricolo, il progetto non presentava i criteri di coerenza con le norme di piano e pertanto è stato ritenuto inammissibile. grazie.”
Consulenza legale i 04/03/2021
L’articolo richiamato nel quesito stabilisce che le sedi degli enti del Terzo settore e i locali in cui si svolgono le relative attività istituzionali, purché non di tipo produttivo, sono compatibili con tutte le destinazioni d'uso omogenee di cui al D.M. n. 1444/1968, indipendentemente dalla destinazione urbanistica.
Per quanto riguarda specificamente la zona E, inoltre, la giurisprudenza ritiene che la destinazione agricola di un'area non coincida con l'effettiva coltivazione dei relativi fondi, né imponga un obbligo specifico di utilizzazione effettiva in tal senso, avendo invece lo scopo di evitare insediamenti residenziali (T.A.R. Napoli, sez. III, 02 gennaio 2020, n. 4).
La zonizzazione agricola assume, quindi, un carattere residuale, salvo l'esistenza di un espresso divieto nello strumento urbanistico che prescriva l'utilizzo produttivo agricolo in via esclusiva, salvaguardando espressamente la relativa vocazione (T.A.R. Trento, sez. I, 19 giugno 2008, n. 152).
Conseguentemente, in tali zone sono ammesse sia l'installazione di opere che non riguardino tale tipologia edilizia e che, per contro, siano incompatibili con zone abitate e da realizzare necessariamente in aperta campagna, sia la realizzazione di opere pertinenziali o funzionali agli insediamenti ed all'economia dell'area e che comunque si inseriscano senza turbare o alterare la destinazione in atto (Consiglio di Stato, sez. V, 28 settembre 1993, n. 968; T.A.R. Napoli, sez. III, 02 gennaio 2020, n. 4, relativa al posizionamento di reti metalliche non stabilmente infisse al suolo adibite a canile; T.A.R. Trento, sez. I, 19 giugno 2008, n. 152, concernente l’installazione di pannelli fotovoltaici a servizio di un edificio esistente).

Pertanto, se si trattasse semplicemente di utilizzare il terreno per l’attività sportiva o di eseguire opere o non qualificabili come edilizie o, comunque, di trascurabile peso urbanistico, il diniego opposto dal Comune presenterebbe seri profili di illegittimità.
A parere dello scrivente, tale conclusione potrebbe rimanere ferma anche nel caso in cui lo strumento urbanistico prevedesse un divieto generalizzato di utilizzi diversi da quello agricolo, posto che in tal caso si potrebbe contestare l’illegittimità della norma di piano per contrasto con il sopramenzionato art. 71, D.Lgs. n. 117/2017.

Nel caso di specie, però, l’intervento citato nel quesito consiste nella realizzazione di terrapieni, che possono a certe condizioni rientrare nella definizione di “nuova costruzione”, e ciò impone di svolgere ulteriori riflessioni.
Infatti, il suddetto articolo 71 non può essere interpretato come una sorta di deroga generalizzata alle disposizioni in materia di titoli abilitativi edilizi, né come una “liberalizzazione” di qualsiasi attività costruttiva eseguita per iniziativa degli Enti del terzo settore.
Al riguardo, si rileva che i movimenti di terra sono classificati come attività edilizia libera solo qualora siano strettamente pertinenti all'esercizio dell'attività agricola e alle pratiche agro-silvo-pastorali (art. 6, comma 1, lettera d), T.U. Edilizia).
Invece, le opere di scavo, di sbancamento e di livellamento del terreno (anche in assenza di opere in muratura) finalizzate ad usi diversi da quelli agricoli richiedono il titolo abilitativo quando la notevole entità dell'intervento sul territorio sia tale da connotarlo come di rilevanza urbanistica (T.A.R. Napoli, sez. VII, 17 settembre 2020, n. 3874; T.A.R. Perugia, sez. I, 25 luglio 2018, n. 469, riguardante l’esecuzione di scavi per la realizzazione di un tracciato su terra tale da simulare un percorso "off-road").
In sintesi, gli interventi analoghi a quello indicato nel quesito necessitano del permesso di costruire ove non riguardino l’attività agricola e modifichino in modo durevole l'ambiente circostante (ex multis; T.A.R. Potenza, sez. I, 15 giugno 2019, n. 501; T.A.R. Salerno, sez. II, 04 settembre 2019, n. 1491).
Infine, si ricorda che l’edificazione in zona agricola può essere soggetta a vincoli di vario genere, come ad esempio quelli previsti dagli artt. 51 e 52, L. R. Calabria n. 19/2002.
Tuttavia, non conoscendo l’entità dei lavori effettuati e le precise disposizioni locali applicabili, non è possibile allo stato chiarire se vi siano la necessità e/o i presupposti per ottenere il permesso di costruire.

Concludendo, qualora il diniego della P.A. si fondi soltanto su una pretesa incompatibilità urbanistica –come sembrerebbe dalla lettura del quesito-, pare che ci sia spazio per impugnare sia il provvedimento sfavorevole, sia la norma dello strumento pianificatorio posta a fondamento del diniego stesso.
Al contrario, nel caso in cui la realizzazione dei terrapieni de quibus necessiti di permesso di costruire e non ricorrano i presupposti per ottenerlo, le argomentazioni di un eventuale ricorso sarebbero indebolite dal fatto che, indipendentemente dall’applicabilità dell’art. 71, D.Lgs. 117/2017, si tratterebbe di un intervento comunque non ammissibile sotto l’aspetto edilizio.